martedì 4 gennaio 2011

Perché scrivere?


Perché scrivere? Non ricordo più quale filosofo studiato alle superiori sosteneva che la nostra mente è collegata al mondo circostante solo attraverso i sensi – fallaci e ingannevoli – per cui la realtà che ci circonda è soggettiva. Quello che vedo io, così come lo vedo, è un’esperienza solo mia e per te può essere anche diversissima.

Sto arrivando a pensare che ciò sia particolarmente vero per alcune manifestazioni della mente umana, come la comunicazione verbale e la scrittura. D’accordo, in linea generale le parole hanno più o meno lo stesso significato per tutti, fatte salve alcune piccole differenze di sfumatura dovute al vissuto personale.

Ma proprio il vissuto personale influisce moltissimo sulla scelta delle parole, quali usiamo e quali no: sarà successo anche a voi di sentire un discorso riportato riferito a qualcuno che conoscete, e pensare: “lui/lei non avrebbe mai usato quella parola!” A maggior ragione il modo in cui mettiamo insieme le parole per costruire frasi, il modo poi in cui combiniamo le varie frasi (e la punteggiatura!) è, in una parola, p e r s o n a l i s s i m o.

Ed ecco che se parlo o scrivo di qualcosa legato ai miei ricordi, corro il rischio di non essere compresa, di non riuscire a trasmettere l’essenza di quello che ho in testa, o peggio di venire fraintesa come spesso mi accade. Perché quello che voglio raccontare l’ho vissuto io, e nessun’altra.

Al massimo posso sperare di evocare, in chi legge o ascolta, un’emozione più o meno simile, oppure – come spesso capita a me – suscitarne la curiosità (del tipo: “chissà cosa lo avrà portato a scrivere così? Quali esperienze, non scritte, si nascondono dietro quelle parole?”).
In genere, quando scrivo, impiego un sacco di tempo. Prima parto con delle idee nella testa, le metto giù ed inizio a lavorarci.

Prendo la prima stesura grezza, la rileggo e la modifico, cambio le parole troppe volte ripetute (Freud?), prendo alcuni brani e li sposto, ne creo altri di nuovi, modifico virgole, punti e puntievirgola. Il più delle volte il risultato comunque non mi piace, e poi scopro di aver dimenticato concetti importantissimi che invece avrei voluto includere.

Quindi ci ritorno sopra anche dopo giorni (proprio come sto facendo adesso) e aggiungo, taglio, preciso, correggo. Un'eterna opera di sbozzatura, cesellatura, limatura (Il tutto ovviamente al computer, sarebbe impossibile farlo con carta e penna), un po' come il lavoro di Winston Smith in 1984 di Orwell (se non l'avete ancora fatto, leggettelo, e capirete cosa voleva dire originariamente Grande Fratello prima che alcuni stronzi si impadronissero del termine), il che costringe ovviamente voi -pochi- lettori a dover ritornare ciclicamente sui miei scritti... d'altronde, come dice qualcuno, I'm anal e quindi eternamente insoddisfatta delle cose.

E alla fine, dopo tutta questa fatica, arriva qualcuno che, leggendo, capisce tutto il contrario di quello che volevo dire. E allora, perché scrivere?

Boh.