martedì 27 dicembre 2016

I viaggi nel tempo della Dottoressa Syuzee Q



In fisica sono sempre stata più o meno una capra. E' che proprio non avevo voglia di imparare e tenere a mente le formule e le costanti, nonostante il mio professore di fisica fosse un sant'uomo, nei limiti di quanto può essere santo un ateo, e ce la mettesse tutta per ficcarmi nella zucca la sua materia.

Ricordo che una volta ci spiegò di come, credo secondo le teorie di Einstein, fosse impossibile il viaggio a ritroso nel tempo. E che se anche fosse stato possibile (ammesso di poter viaggiare più veloce della luce) tutto si sarebbe risolto solo nel poter riacciuffare e rivedere le immagini di quel che è stato, senza alcuna possibilità di interagire; una specie di cinema del tempo che fu, insomma.

Anni dopo ricordo che lessi una frase, sempre di Einstein (e sempre se la memoria non mi inganna): il tempo può essere "viaggiato" solo in avanti, verso il futuro, e le macchine del tempo in realtà esistono, e siamo... noi. Il nostro corpo è la macchina che trasporta in avanti nel tempo la nostra mente, per il pur breve arco della nostra esistenza.

Ho sempre trovato suggestiva questa cosa, anche per alcune similitudini che ho notato con la mia "condizione". Se è vero che il mio corpo "normale" fa quello che dice il buon vecchio Albert, è vero anche che il mio corpo "da Syuzee" mi permette un altro tipo di viaggio, che mai avrei immaginato quando l'ho iniziato.

Un viaggio all'interno di me stessa, nel tentativo impossibile di comprendere come sono fatta dentro, quali sono le vere leve che mi muovono, le pulsioni che ho, i limiti che mi frenano. Se vent'anni fa mi avessero detto che il crossdressing sarebbe stato uno strumento eccezionale per indagare su me stessa, mi sarei messa a ridere; oggi invece mi meraviglia constatare quanto ho scoperto, e quanto probabilmente ho ancora da scoprire.

Non ci credete? Provate a pensare a tutte le varie maschere pirandelliane che indossate durante il giorno, a quante persone diverse siete di volta in volta con gente della quale non vi fidate, oppure che vi fa sentire a vostro agio; con gli scocciatori, e con gli amici. E comunque ci sarà sempre, sempre una parte di voi che resta lì in agguato, nascosta nell'ombra, inespressa e che non si azzarda ad uscire per nessun motivo al mondo.

Non sto a spiegarvi io qual è questa parte, e del resto è diversa per ciascuno di noi, ma credo che se ci riflettete sopra un po' riuscite a trovare la vostra. Fatto? Adesso pensate all'aforisma (troppo abusato) di Oscar Wilde, "date ad un uomo una maschera e vi mostrerà il suo vero volto." Un'altra maschera direte voi; cos'ha questa di diverso?

Ebbene, supponiamo che questa maschera sia l'ultima, quella che sta sotto a tutte le altre; e sotto a questa non ci sia più niente, solo la nuda carne, il vostro nudo essere. Anche qui, non è per forza detto che questa maschera debba essere la stessa per ciascuno di noi; nel mio caso è il viso di una crossdresser, in altri casi invece è quello di uno slave, di una Femdom, di una Mistress, eccetera. Questa è la maschera che vi permette di essere come davvero siete, come nemmeno voi sapete di essere. Si potrebbe addirittura arrivare a dire che sia il vostro vero volto...

Nel mio caso a volte è così. Si tratta sempre e comunque di uno strato protettivo, ma il mio è molto sottile, sottilissimo, tanto da lasciar trasparire spesso e volentieri quel che c'è sotto senza che me ne accorga. Di recente un'amica che era presente alla mia prima uscita pubblica en femme mi ha raccontato il suo punto di vista su quella serata: mi ha detto che si vedeva benissimo quanto fossi meravigliata della naturalezza della situazione. Io mi sentivo come una bimba in un negozio di caramelle, ma proprio non credevo si notasse così tanto, visto che tutti i giorni mi tocca indossare un volto di cemento.

Qualcuno mi ha detto anche che ad essere praticamente senza filtri si rischia parecchio in un mondo come quello del BDSM. Ma sarà poi davvero così pericoloso? E' vero che, per alcuni "abitanti" di questo mondo, la maschera di Master, Mistress o slave non è nient'altro che l'ulteriore strato superficiale di una spessa corazza, una bugia messa sopra ad un cumulo di altre menzogne; ne ho conosciuta perfino io di gente così. Il segreto forse sta nel selezionare bene le persone delle quali vogliamo circondarci (per chi può permettersi il lusso di selezionare, ovviamente), e possedere una buona dose di intuito e fortuna.

Per ora il più delle volte è andata bene. Ma del resto cos'è l'SM senza il rischio? Tanto varrebbe andare a recitare il rosario dalle suore. Quello di poter essere finalmente me stessa è un gioco che vale la candela.

domenica 11 dicembre 2016

mIRC mon amour



L'epoca è la metà degli anni '90, quella pionieristica e sperimentale di internet, per lo meno qui da noi in Italia e, soprattutto, per me. Prima di Google (allora si usava Altavista), prima, molto prima di Facebook e della Wikipedia, che erano ancora nella mente di dio, quando il porno non era ancora il motore della rete (ma lo stava per diventare).

Ve li ricordate quei tempi? Ci si collegava a internet con la connessione via modem/telefono, ad una velocità assurdamente lenta e pure a consumo; esisteva già l'ADSL ma costava una fucilata e uno che conoscevo se la pagava versando tutto intero il proprio stipendio (a proposito, anche la connessione telefonica si pagava, e mica poco,,,)

Muoveva proprio allora i primi passi anche un altro tipo di rete, "parallela" al mondo solcato dai browser, chiamata IRC e dedicata esclusivamente alle chat. Per me fu una scoperta epocale: grazie ad un programmino free chiamato mIRC (il logo lo vedete qui sopra, ve lo ricordavate?) ci si poteva collegare a dei server, e da lì accedere a delle specie di canali tematici.

Funzionava così: alla mattina presto, appena arrivata in ufficio, giro veloce - per i pochi minuti che mancavano all'inizio dell'orario - su #latinoamerica, dove pescavo gli ultimi tiratardi sudamericani per fare un po' di pratica di spagnolo; a mezzogiorno pranzo veloce e poi una mezz'oretta su #milano, che all'epoca contava al massimo una ventina/trentina di utenti e ci si conosceva tutti.

Era un mondo con le sue regole (la prima netiquette) e il suo linguaggio; 10x per dire grazie, superlativi che finivano in "errimo" (tremenderrimo, pesanterrimo), le emoticons fatte con parentesi e punteggiatura, la chiocciolina prima del nickname che ti dava i superpoteri, tra i quali quello di bannare (altra parola nata lì) dal canale gli utenti indisciplinati o che semplicemente ti stavano sulle scatole... se ci ripenso mi commuovo. Cari digital natives, non avete inventato proprio un cazzo.

Si organizzavano le pizzate del canale e ci si ritrovava, e finalmente potevi dare un volto a quel soprannome con il quale avevi chattato tante volte; nacquero anche le prime storie d'amore e di corna, e anche i primi fake. Per un soffio mancai una persona che sarebbe diventata importantissima per me tanti anni dopo.

Poi, improvvisamente, il colpo di scena: i primi server e i primi canali dedicati all'SM. Purtroppo ho una memoria pessima e non ne ricordo bene i nomi, mi pare che uno di quelli che frequentavo si chiamasse #BDSM.it. Ricordo ancora qualcuno dei colleghi di chat: DragonLady, Regina, NoxDysphorica, Violetta, Do, Ludmilla, Mastro, Livewire...

Ora però stavamo già verso la fine degli anni novanta, primi del duemila. Fu allora che conobbi quella che è la mia amica di sempre, Lady Sweetlash. Quante ore passate a scambiarci chiacchiere, punti di vista, riflessioni, a gioire e consolarci, a tenerci compagnia... Da qualche parte devo avere ancora qualche log sopravvissuto, resti fossili di un'età gloriosa... Ogni tanto, ogni due o tre anni, provo a ricollegarmi ma niente, non sembra essere rimasto più niente e provo una struggente nostalgia per quei tempi così allora nuovi, esaltanti e naif. Mi sembra di aggirarmi in mezzo a rovine popolate da spettri.

Anche qui ci furono le cene di canale, e proprio a questo volevo arrivare. Iniziai ad entrare in contatto con la "scena" BDSM milanese (quella di allora), e non si può dire che l'esperienza sia stata delle migliori. Ricordo certi sguardi da predatore affamato, viscidi cappottini in pelle da SS nostrane, sussurri intimoriti/vogliosi all'indirizzo di alcune Mistress che - ovvove ovvove - facevano uso di strapon, ma soprattutto infantilismi e capricci che nemmeno all'asilo... e io me ne stavo lì in disparte ad osservare, il più delle volte allibita dalla pochezza di quei dominanti da operetta.

Il culmine, o meglio il fondo, lo raggiunsi durante una serata epica al ristorante indiano di porta Genova, dove la dea della sfiga volle farmi accomodare accanto ad un masterone barbuto veneto. Costui mi attaccò un clamoroso pippone durato tutta la serata; mi rivedo come in quella scena del film Fantozzi del '75, dove il rassegnato ragionier Ugo è a tavola con il compagno Folagra, l'ammorbante e logorroico estremista rosso. Uguale.

Il motivo del pippone fu presto svelato: la supposta schiava del masterone aveva scelto proprio quella sera per andare a giocare in villa con un altro master danaroso, e lui se ne era venuto rosicando a Milano per affogare la disperazione nell'alcol e nella loquacità patologica. Rovinandomi nel contempo l'esistenza per tre ore buone.

Tre ore che avrei potuto invece impiegare in maniera più utile e piacevole chiacchierando con l'altra mia vicina di posto, una ragazza torinese di nome Doretta che ricordo come molto gentile e carina. Ma niente, non fu possibile, la presenza veneta era decisamente troppo ingombrante e troppo disperata per lasciarsi ignorare, e io ancora troppo giovane e beneducata.

Ora, vorrei lanciare un appello personale e un avvertimento. L'appello è questo: caro master veneto, non mi ricordo che cazzo di nome avessi ma mi ricordo molto bene di te e sappi che, nel corso degli anni, ogni volta che ti ho ripensato ti ho maledetto dal profondo del cuore.

L'avvertimento invece è questo: gentili lettori, se vi dovesse mai capitare di partecipare ad una cena, brunch, aperitivo o anche solo merenda BDSM, state molto attenti a chi vi capita come compagno di tavola.

venerdì 9 dicembre 2016

Il valore di certe attese



C' era una volta un pescatore il quale, un giorno, ritirando le reti, vi trovò impigliato un vaso di rame.

Lo aprì e, come nelle peggiori barzellette, ecco che ne uscì un genio il quale disse:

"Io sono uno di quegli spiriti ribelli che si opposero alla volontà di Dio. Tutti gli altri Genii riconobbero il gran Salomone per profeta di Dio, e si sottoposero a lui. Sacar ed io fummo i soli che non volemmo commettere simile bassezza. Per punirmi ei mi chiuse in questo vaso di rame, e per esser certo che io non forzassi la mia prigione, impresse egli stesso sul coperchio di piombo il suo
sigillo ov’è inciso il gran nome di Dio. Fatto ciò, diede il vaso ad un Genio coll’ordine di gettarmi in mare.

Durante il primo secolo della mia prigionia giurai che se qualcuno mi liberava, l’avrei fatto ricco anche dopo la sua morte. Nel secondo secolo giurai di aprire tutti i tesori della terra a chiunque mi mettesse in libertà. Nel terzo promisi di far potente monarca il mio liberatore, di stargli sempre vicino, ed accordargli ogni giorno tre desideri qualunque natura si fossero.

Infine, disperato, giurai di uccidere senza pietà chiunque mi liberasse in seguito, non accordandogli altra grazia che la scelta della morte. Ordunque, poiché tu oggi mi hai liberato, scegli come vuoi ch’io ti uccida?" (Se volete sapere come va a finire mi sa che vi tocca leggere Le mille e una notte.)

Questa storia, che lessi tantissimo tempo fa, mi ritorna in mente di tanto in tanto. Cosa mi vorrà dire? Che forse aspettare è un po' morire? Che aspettare troppo istiga gli istinti omicidi? Ma l'attesa di un bacio non era pur essa stessa eccetera eccetera?

Ad ogni modo, fate attenzione a quando aprite un vaso. Ma ancora di più, a quando ci chiudete qualcosa dentro.

domenica 4 dicembre 2016

I limiti sono fatti per essere superati



"I limiti sono fatti per essere superati." Questa stessa frase, curiosamente, l'ho sentita dire da due persone diverse a distanza di tre anni.

La cosa curiosa è che la prima volta, nel sentirla, ho provato un immediato senso di repulsione e di fastidio, mentre la seconda invece l’ho stranamente sottoscritta e condivisa.

Possibile che in tre anni io sia cambiata così tanto da capovolgere completamente questo punto di vista? Non mi pare... e allora come mai questa reazione così diversa?

In effetti, ripensandoci bene, le due persone che, nel corso di un’amichevole chiacchierata, hanno in tempi diversi enunciato questa “verità” non potevano essere più distanti tra loro, e quasi certamente da questo è dipesa la mia reazione.

Falsa e opportunista la prima, tanto quanto è sincera e premurosa la seconda.

Perché quella frase, anche se è una sorta di luogo comune che gira nell’SM, cambia molto a seconda della bocca che la pronuncia.

Nel primo caso, la persona in questione sottintendeva il fatto che a lei, dello slave, fondamentalmente importava il giusto (cioè niente) e che durante il gioco lei faceva né più e né meno quel che le pareva, come se avesse tra le mani un pezzo di argilla. Senza alcun riguardo per la persona del poveraccio di turno.

Nel secondo caso invece era sottinteso che si può arrivare ad avere ragione di un bel po' di limiti soggettivi (specialmente quelli che hanno a che fare con paure e tabù personali) e forse forse anche di qualcuno di quelli oggettivi (non starò qui a spiegare cosa sono) ma solo a patto di trovarsi insieme alla persona giusta, con la quale si è stabilito un rapporto di complicità e reciproco rispetto, e due o tre altre cosette ancora.

In entrambi i casi la frase è stata secca, netta, senz’altri fronzoli o aggiunte; ma anche le due spiegazioni implicite qui sopra erano altrettanto nette e palpabili. Un paio di labbra collegate ad un cervello (e a un cuore) piuttosto che ad un altro: che differenza eh?