giovedì 22 marzo 2012

Scherzi da google



C’è un posto. Questo posto si affaccia su una superstrada, quella che mi porta in ufficio, gli passo davanti due volte al giorno, una alla mattina e l’altra alla sera. Nel giugno del 2008 sulla superstrada è passata la macchinina di google maps (se non ricordo male era una punto) con la sua macchina fotografica magica sul tetto, e ha ripreso tutto, anche quel posto.

Quel posto è un capannone. Nella foto di google si vede il tetto, lungo e diritto, di lamiera chiara, pulita. E’ il capannone di una ditta. Non ci sono insegne, nessuno da fuori può capire cosa ci fanno, dentro. Quel posto oggi non esiste più, cioè non è più così come lo ritrae ancora google, fermo, cristallizzato al giugno del 2008.

E’ entrato a far parte di quei luoghi che esistono solo nella memoria, che sono scomparsi; come un prato invaso da un centro commerciale, o un cinema abbattuto per fare posto a un condominio. La lamiera chiara, pulita, oggi è scura e rugginosa, il tetto non è più diritto ma è curvo, ingobbito, sventrato. Quando lo vedo, due volte al giorno, mi ricorda un gigantesco animale morto e rannicchiato.

Il 4 novembre 2010 quel capannone è bruciato. Un rogo feroce, furioso, perché dentro erano state immagazzinate delle sostanze infiammabili, che però non avrebbero dovuto esserci. Non c’erano i permessi per maneggiarle e stoccarle, e nemmeno le precauzioni. E invece quelle sostanze c’erano, perché il titolare, il padrone, aveva deciso così. E se qualcuno degli operai non era d’accordo poteva anche restare a casa.

Già. Gli operai. Tra quelli che lavoravano nel capannone c’erano quattro persone, quattro operai; storie normali, quasi banali. Due erano albanesi, venuti in Italia come tanti per trovare un lavoro che tanti italiani non vogliono fare più; il terzo era un pensionato che cercava di tirar su qualche soldo extra per pagare gli studi alla figlia; il quarto un custode, che avrebbe dovuto sposarsi di li a poco.

Persone come tante, per le quali il lavoro è vita, è possibilità di mantenere una famiglia, dei figli, pagare il mutuo e le bollette. Il pensionato e uno degli albanesi sono stati i primi a morire, per le ferite, due settimane dopo. Due mesi dopo è toccato al custode, che non è più riuscito a sposarsi. Nonostante la disperazione della convivente e della loro figlia di 15 anni.

Dopo un altro mese - e 22 inutili operazioni chirurgiche - è morto anche il secondo albanese. Io dico persone, dico pensionato, custode, albanese. Sono solo parole, ma dietro le parole ci sono degli esseri fatti di carne e sangue come me, come te, che sono bruciati vivi e poi sono morti perché o lavoravano in mezzo a quelle sostanze o restavano a casa a fare la fame. Perché qualcuno li aveva costretti a quel patto con il diavolo.

Il padrone è stato arrestato. Tre i capi d’accusa: omicidio colposo, violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, e traffico illecito di rifiuti. Perché invece di portare in discarica i rifiuti pericolosi - e pagare - li conservava nel capannone e li faceva smaltire ai suoi operai. Ma non vi illudiate che questo sia una specie di lieto fine: conoscendo come girano le cose in Italia, in galera ci resterà poco. La giustizia non è di questo mondo. Nel frattempo quattro famiglie sono rimaste sul lastrico, mogli senza marito, figli senza padre.

Presto adesso, rimboccarsi le maniche per portare a casa la pagnotta. Che le banche non aspettano e i supermercati non regalano. Stringere i denti e la cintura. Tornare in Albania. Cercare di fare senza.

Io ho un lavoro da dipendente. Ho il terrore di trovarmi nella stessa situazione, prima o poi. Se si decide, come sembra molto probabile che sia, di mettere nelle mani dei direttori, degli imprenditori, dei capitani d’industria, il potere di licenziare liberamente i propri dipendenti. La flessibilità in uscita, che bella parola.

Vedo ogni giorno dei begli esempi di questi cosiddetti responsabili calpestare senza rimorsi le vite di quanti lavorano per loro, caricandole di continui disprezzi, grandi e piccoli; e tutto questo mentre ancora non hanno il pieno potere di rovinargli completamente la vita, entro certi limiti. Immaginati quando l'avranno. Gente senza pietà, senza vergogna, compassione, che crede sul serio di avere una responsabilità limitata.

Li ho visti abusare di cassa integrazione, prepensionamenti, apprendistato, straordinari non pagati, lavoro nero, ogni sorta di porcheria permessa o di fatto tollerata con l’attuale legislazione. Sghignazzare perché avevano comprato una macchina che fa il lavoro di tre persone, e quelle tre le hanno lasciate a casa. Chissà cosa potranno fare quando avranno veramente mano libera.

E i politici, che tra sprechi, tette e corruzione sono la causa principale della nostra crisi, pretendono in questo bel modo di trovare anche la soluzione. Ho visto anche loro, oggi, ascoltare annoiati in parlamento gli interventi pro o contro la modifica all’articolo 18. Tanto non gli interessa. Gente che guadagna cento, duecentomila euro l'anno non può sapere cos’è la fame degli altri.

Strani scherzi fa google maps. Ci trovi un posto che non c’è più, una foto del 2008. Un capannone nuovo, adesso bruciato, quattro persone lì dentro che hanno ancora poco più di due anni di vita davanti a loro, e non lo sanno.