martedì 29 novembre 2016

Segnali



L'ispirazione, si sa, è una brutta bestia, che può venire nelle occasioni più insolite, quando meno te lo aspetti.

Ieri notte, ad esempio, alle tre e mezzo, mi sono svegliata di colpo ed ho percepito molto chiaramente un pensiero, in quella strana e perfetta lucidità del dormiveglia.

Il pensiero è questo: anche se i segnali sono contrari, assolutamente, del tutto contrari, a volte occorre andare avanti ugualmente, vivere fino in fondo.

A qualunque costo, come falena verso la fiamma.

mercoledì 23 novembre 2016

Quando



Quando

Il suo tocco non ti farà sentire i brividi lungo la schiena
Guardarla negli occhi non ti farà abbassare lo sguardo
Ascoltare la sua voce non ti farà più tremare
La sua mano tra i tuoi capelli non ti scioglierà il sangue nelle vene
Il suo sorriso non ti riempirà più il cuore di felicità

Allora, soltanto allora

Potrai avere i brividi, abbassare lo sguardo, tremare, sentirti sciogliere

Veramente

Ed essere felice

Syuzee Q

martedì 8 novembre 2016

Una semplice pasta al burro


Una delle prime, basilari forme di cura e di attenzione per l’altrui persona è il cucinare. E’ direttamente collegata alle radici più antiche della razza umana, all’istinto del cacciatore primitivo che portava a casa la preda per sostenere la sua tribù. Un cosciotto di pterodattilo, un giorno di vita in più. Questa è forse una delle forme d’amore più potenti che conosco, autentica magia bianca, che ho cercato di imparare – con alterne fortune – dalle donne della mia famiglia, gente che ha patito la fame e che sa quale valore dare al cibo, anche alle bucce.

Conosco persone che sono delle pessime cuoche, svogliate, pigre; forse amano i loro cari in un altro modo, ma non di certo in questo. Cucinare è passione, dedizione, impegno, e anche una buona dose di perfezionismo; eppure le ricette che ho ereditato hanno tutte dosaggi rigorosamente e orgogliosamente a occhio (un fià de questo, un toco de quelo…), e quindi anche di istinto. Il trionfo del "q.b.", che mi mandava ai pazzi quand'ero giovane e che invece ho imparato ad amare.

Ma, soprattutto, per me cucinare ha bisogno necessariamente di un destinatario. Io non riesco a cucinare per me stessa e, quando sono da sola preparo le peggio schifezze confezionate; per essere veramente soddisfatta ho bisogno di qualcuno che mangi. Una persona alla quale i miei piatti dicano, silenziosamente: “vieni qua, siediti, lascia che ti coccoli con quello che le mie mani hanno saputo preparare per te, togliti la fame e appaga lo spirito, e dimmi – anzi no, mi basta solo che me lo fai capire con lo sguardo – che ti piace e che sei contenta.”

Oh intendiamoci, niente nouvelle cuisine o cose particolarmente elaborate, solo sana e robusta cucina tramandata da una stirpe di muratori e minatori. (Anche se non è proprio vero, qualche volta cerco di fare cose un po’ strane, come ad esempio gli spaghetti blu della foto sopra; e sono veramente blu).

Nel cucinare, ogni gesto esprime profondo rispetto per chi mangerà; niente mani sporche, cose cadute per terra, parti di scarto, ingredienti da poco. Eppure, e forse vi suonerà strano, anche preparare una semplice pasta al burro (niente olio, da noi al nord usa così) può essere un gesto d'amore. Oppure no.

Partiamo dall’inizio: già scegliere il tipo di pasta vien fatto sulla base dei gusti personali del destinatario, e delle circostanze. Io adoro gli spaghetti, vivrei solo di quelli; ma a casa mia la pasta al burro di solito si fa quando qualcuno non sta bene ed è in via di guarigione. In questo caso lo spaghetto può essere scomodo da manovrare; le farfalle tendono a restare crude nel mezzo, i conchiglioni son troppo grandi e sdrucciolevoli, i fusilli si sfaldano, e compagnia cantante.

Vogliamo parlare poi del salare l’acqua? Solo sale grosso, marino, con dosaggio (anche qui) rigorosamente istintivo, fatto a mano, retaggio dei secoli bui, di streghe, paioli e pipistrelli… E il grado di cottura? Ci si potrebbero perdere le ore a discutere, ognuno lo vuole a suo modo… Per come la vedo io gli spaghetti bisognerebbe che fossero ancora duri, quasi vivi, e per chi scuoce la pasta ci dovrebbe essere il penale. Ma qui hai davanti un visino pallido e smunto (facia de peri cotti, faccia bianca come le pere cotte), occhi febbricitanti, stomaco in disordine... mezza cottura, via.

Pensi che sia finita? Ti sbagli, è appena cominciata.

Solo da come uno mette il burro nel piatto ti posso dire se è una persona amorevole oppure se è una che ti detesta.  Quest’ultima piazzerà una specie di blocco di marmo congelato al centro del piatto; poi ci rovescerà sopra di malagrazia una manata di pasta, magari lasciata a raffreddare nel frattempo nel colapasta; le pennette si sparpaglieranno in giro per il piatto e, tra il piatto freddo e la pasta sparsa, che presto diventerà gelata, il burro non si scioglierà bene e farà una specie di pappetta bianchiccia e oleosa la quale, mischiandosi al formaggio già grattugiato e asciutto di frigo, risulterà particolarmente disgustosa e indigesta.


Io invece sfiletterò il burro in listarelle sottili, in trucioli leggeri, che quasi si sciolgono sulla lama del coltello; andranno a posarsi nel piatto come petali di ciliegio in Giappone d’autunno, ognuno nel punto giusto. Lo farò alcuni minuti prima, di modo che i petali possano ammorbidirsi e, quando riceveranno le tagliatelle bollenti, sciogliersi in un amoroso abbraccio, proprio come dev’essere. La pasta sarà ancora ben calda, ammonticchiata in un armonioso cucuzzolo al centro di un piatto ben pulito, quando riceverà una discreta e soffice nevicata di parmigiano grattugiato di fresco.

Ti proverò la febbre come faceva mia nonna, con un bacio sulla fronte, e ti dirò che finalmente non scotti più.

mercoledì 2 novembre 2016

La donna VHS



Nei bei tempi andati esisteva un oggetto che i più giovani - poveri loro - non hanno mai visto e solo in qualche caso hanno sentito descrivere: si chiamava videoregistratore VHS.

Era un oggettino che, nel suo piccolo, ha rivoluzionato la vita di tutti i giorni delle persone: per la prima volta si potevano registrare dei film o dei programmi per rivederli in un secondo momento, vedere dei film presi a noleggio (e lasciamo stare per favore il filone del porno che ci sarebbe da parlare per dei giorni), eccetera.

Al giorno d’oggi, dove tutto ormai si sta virtualizzando, e a momenti anche il lettore DVD sta per andare in pensione, quel che ha rappresentato il VHS per noi “matusa” è difficile da capire, e anche noi ce lo siamo un po’ dimenticato, ammettiamolo.

Chi lo ha vissuto, ricorderà che il videoregistratore si accoppiava alla televisione mediante la fatidica presa Scart, e questo connubio aveva una particolarità: quando accendevi il videoregistratore, il segnale attivava una specie di interruttore nella TV che scollegava qualsiasi altro canale fosse stato scelto in quel momento, e passava immediatamente al film registrato. Una specie di imperativo categorico elettronico, totalmente automatico e inevitabile; a meno di non aprire la TV e tagliare un cavetto, o un diodo, o che so io.

Questo fenomeno mi ricorda delle persone (non tante a dire il vero, ma abbastanza) che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita. Tutte invariabilmente di sesso femminile, che funzionavano con me un po' come il videoregistratore VHS per la TV. Non appena apparivano, avevano il potere di scollegare del tutto e immediatamente la mia “normale programmazione”, e arrivare dritte al cuore.

Impossibile dire cos’è precisamente questo “segnale pirata” che si impadronisce di me (facendomi fare il più delle volte, in passato, la figura della beota), è qualcosa di totalmente inevitabile, impossibile da contrastare e contro la quale non ho difese. C’è un modo di dire inglese, intraducibile correttamente, che lo descrive: “I can’t help it.”

E’ un cavallo di troia, è come avere dentro una specie di sabotatore della razionalità pronto a colpire a tradimento, a comando (altrui), e a perdermi. Però, ad essere davvero, davvero oneste, mai come in questi casi è vero il verso: “e naufragar m’è dolce in questo mare.”

martedì 1 novembre 2016

Ordinaria follia



Momenti di ordinaria follia. A volte mi prendono. Tipo quando scrivo sul blog, o in chat, e parlo/penso assolutamente al femminile. Anche se ho addosso i jeans, la camicia e una barba di tre giorni, quest'ultima una cosa che una donna proprio non dovrebbe avere. Certamente, follia. Ma sono la sola?

Ognuno di noi ha un personaggio dentro la testa, e questo personaggio non è proprio aderente alla realtà. E' un fatto ormai accertato che ognuno di noi pensa, crede (nella propria testa) di essere migliore di come in realtà è. Anche il peggior figlio di puttana sotto sotto è convinto di essere un buono. Senza arrivare a certi estremi, è un fatto incontrovertibile che tutti noi (quasi tutti, vabbé) siamo molto indulgenti con noi stessi, ci perdoniamo praticamente tutto, abbiamo sempre la scusa pronta e il capro espiatorio bell'e fatto.

Ci vuole molto coraggio e coerenza per guardarsi allo specchio e riuscire metaforicamente a sputarsi in faccia. Ma, e anche questo è un fatto, coraggio e coerenza sono merci che non sempre si trovano sottomano. Dopotutto siamo solo umani.

A volte, e sarà successo anche a voi, mi guardo allo specchio e mi chiedo: ma sono davvero io quella? Sono mie quelle mani, quel viso, quei capelli? E' proprio dietro quella fronte che si nasconde il cervello bacato che in questo momento sta partorendo 'sti pensieri da alienata mentale? E il sospetto di vivere in un corpo non mio viene, eccome se viene...

Chissà, magari il mio vero "io" sta da un'altra parte, e il corpo nel quale abito tutti i giorni è un simulacro (però, porca puttana, potevo anche sceglierlo meglio!) Un po' come la "proiezione residua di sè" citata in Matrix. Ecco, almeno potevo essere figa e bionda e in grado di spaccare tutti col karate. Mi sa invece, sempre per continuare la metafora di Matrix, che sono uno sfigato bianchiccio e molliccio, incastrato in un sarcofago e con un tubo di gomma in ogni buco (sì, anche lì).

Poi c'è invece come mi vede il mondo. Ah, è quello è proprio tutto un altro capitolo. Mi viene in mente un dialogo che ho avuto con una tizia, una stordita del Veneto che mi aveva cercato ai tempi in cui Messenger non era ancora stato ucciso da Skype. L'ho recuperato e ve lo riporto integralmente:


Syuzee:  come mai mi hai cercata?
Stordita: ero curiosa di te, ma non scrivere al femminile dài.
Syuzee:  perché non dovrei, scusa? io scrivo come mi sento...
Stordita: così, non mi piace molto, tutto lì.
Syuzee:  sento di doverti dire una cosa riguardo al "parlare al femminile." E faccio conto che il tuo interesse per noi trav sia sincero, e non una cosa tipo "fenomeno da baraccone." Ognuna di noi fa come si sente meglio. Conosco trav che parlano "da maschietti" e altre invece che fanno come me. Una frase come la tua, "non scrivere al femminile, dài" potrebbe urtare la suscettibilità di qualcuno. In fondo siamo tutte persone sensibili, non trovi?
Stordita: sì, ma farlo dal vivo mi potrebbe andare bene, scriverlo così mi fa un po' ridere.
Syuzee:  beh, quello è un problema tuo. Devo dedurre che un l'effetto "fenomeno da baraccone" alla fin fine un po' ci sia, e lo trovo triste da parte tua.


Dieci minuti dopo mi ha postato la foto delle sue tette. I trav spaccano.