martedì 8 novembre 2016

Una semplice pasta al burro


Una delle prime, basilari forme di cura e di attenzione per l’altrui persona è il cucinare. E’ direttamente collegata alle radici più antiche della razza umana, all’istinto del cacciatore primitivo che portava a casa la preda per sostenere la sua tribù. Un cosciotto di pterodattilo, un giorno di vita in più. Questa è forse una delle forme d’amore più potenti che conosco, autentica magia bianca, che ho cercato di imparare – con alterne fortune – dalle donne della mia famiglia, gente che ha patito la fame e che sa quale valore dare al cibo, anche alle bucce.

Conosco persone che sono delle pessime cuoche, svogliate, pigre; forse amano i loro cari in un altro modo, ma non di certo in questo. Cucinare è passione, dedizione, impegno, e anche una buona dose di perfezionismo; eppure le ricette che ho ereditato hanno tutte dosaggi rigorosamente e orgogliosamente a occhio (un fià de questo, un toco de quelo…), e quindi anche di istinto. Il trionfo del "q.b.", che mi mandava ai pazzi quand'ero giovane e che invece ho imparato ad amare.

Ma, soprattutto, per me cucinare ha bisogno necessariamente di un destinatario. Io non riesco a cucinare per me stessa e, quando sono da sola preparo le peggio schifezze confezionate; per essere veramente soddisfatta ho bisogno di qualcuno che mangi. Una persona alla quale i miei piatti dicano, silenziosamente: “vieni qua, siediti, lascia che ti coccoli con quello che le mie mani hanno saputo preparare per te, togliti la fame e appaga lo spirito, e dimmi – anzi no, mi basta solo che me lo fai capire con lo sguardo – che ti piace e che sei contenta.”

Oh intendiamoci, niente nouvelle cuisine o cose particolarmente elaborate, solo sana e robusta cucina tramandata da una stirpe di muratori e minatori. (Anche se non è proprio vero, qualche volta cerco di fare cose un po’ strane, come ad esempio gli spaghetti blu della foto sopra; e sono veramente blu).

Nel cucinare, ogni gesto esprime profondo rispetto per chi mangerà; niente mani sporche, cose cadute per terra, parti di scarto, ingredienti da poco. Eppure, e forse vi suonerà strano, anche preparare una semplice pasta al burro (niente olio, da noi al nord usa così) può essere un gesto d'amore. Oppure no.

Partiamo dall’inizio: già scegliere il tipo di pasta vien fatto sulla base dei gusti personali del destinatario, e delle circostanze. Io adoro gli spaghetti, vivrei solo di quelli; ma a casa mia la pasta al burro di solito si fa quando qualcuno non sta bene ed è in via di guarigione. In questo caso lo spaghetto può essere scomodo da manovrare; le farfalle tendono a restare crude nel mezzo, i conchiglioni son troppo grandi e sdrucciolevoli, i fusilli si sfaldano, e compagnia cantante.

Vogliamo parlare poi del salare l’acqua? Solo sale grosso, marino, con dosaggio (anche qui) rigorosamente istintivo, fatto a mano, retaggio dei secoli bui, di streghe, paioli e pipistrelli… E il grado di cottura? Ci si potrebbero perdere le ore a discutere, ognuno lo vuole a suo modo… Per come la vedo io gli spaghetti bisognerebbe che fossero ancora duri, quasi vivi, e per chi scuoce la pasta ci dovrebbe essere il penale. Ma qui hai davanti un visino pallido e smunto (facia de peri cotti, faccia bianca come le pere cotte), occhi febbricitanti, stomaco in disordine... mezza cottura, via.

Pensi che sia finita? Ti sbagli, è appena cominciata.

Solo da come uno mette il burro nel piatto ti posso dire se è una persona amorevole oppure se è una che ti detesta.  Quest’ultima piazzerà una specie di blocco di marmo congelato al centro del piatto; poi ci rovescerà sopra di malagrazia una manata di pasta, magari lasciata a raffreddare nel frattempo nel colapasta; le pennette si sparpaglieranno in giro per il piatto e, tra il piatto freddo e la pasta sparsa, che presto diventerà gelata, il burro non si scioglierà bene e farà una specie di pappetta bianchiccia e oleosa la quale, mischiandosi al formaggio già grattugiato e asciutto di frigo, risulterà particolarmente disgustosa e indigesta.


Io invece sfiletterò il burro in listarelle sottili, in trucioli leggeri, che quasi si sciolgono sulla lama del coltello; andranno a posarsi nel piatto come petali di ciliegio in Giappone d’autunno, ognuno nel punto giusto. Lo farò alcuni minuti prima, di modo che i petali possano ammorbidirsi e, quando riceveranno le tagliatelle bollenti, sciogliersi in un amoroso abbraccio, proprio come dev’essere. La pasta sarà ancora ben calda, ammonticchiata in un armonioso cucuzzolo al centro di un piatto ben pulito, quando riceverà una discreta e soffice nevicata di parmigiano grattugiato di fresco.

Ti proverò la febbre come faceva mia nonna, con un bacio sulla fronte, e ti dirò che finalmente non scotti più.

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