martedì 5 settembre 2017

La Post-Verità



La post-verità sembra essere diventata uno degli argomenti del giorno. Per comodità, riporto la definizione che ne da la wikipedia:

"Il termine post-verità, derivante dall'inglese post-truth, indica quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza.

Nella post verità la notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi effettiva sulla veridicità o meno dei fatti reali. In una discussione caratterizzata da "post-verità", i fatti oggettivi, chiaramente accertati, sono meno influenti nel formare l'opinione pubblica rispetto ad appelli a emozioni e convinzioni personali."

Esistono diverse post-verità, gli esempi ci vengono messi davanti agli occhi quotidianamente (anche da parte di chi, come i giornalisti, dovrebbe invece verificare), poi sta a noi decidere se credere ciecamente oppure usare un po' di senso critico e di intelligenza.

Ma la post-verità è un'invenzione recente? Mi sa tanto di no. E' vero, i social oggigiorno ne amplificano l'effetto a dismisura, ingrandendo il bacino di babbei disposti ad abboccare istantaneamente alle bufale; ma dobbiamo tenere presente le distanze e le difficoltà di comunicazione che esistevano in passato.

Quando le notizie viaggiavano sulle navi a vela, a dorso di cavallo o (con buona pace di certi politicastri nostrani) di cammello, era difficile dimostrare la falsità di certi argomenti, persino di certi documenti. Ed era di fatto impossibile diffondere una smentita capillare, e in tempo utile. Col risultato che certe credenze (l'equivalente delle nostre leggende metropolitane, o anche vere e proprie notizie inventate ad arte) si radicavano profondamente nel tessuto della società, ed era poi quasi impossibile demolirle.

Mi vengono in mente la Donazione di Costantino e il Protocollo dei Savi di Sion; più che delle post-verità questi sono dei falsi a tutti gli effetti, eppure c'è gente che ci crede ancora oggi. Ancora oggi ci sono persone - e tante - che, spinte dal sentimento razzista e antisemita, sono disposte tranquillamente a dire che, anche se non è vero, è talmente verosimile da essere comunque veritiero. E senza tirare in ballo il piano Kalergi, i rettiliani e i terrapiattisti.

In tempi più recenti ho dovuto sostenere - in maniera abbastanza ridicola, lo devo ammettere - il fatto che quello che si mangia il Pinocchio del libro di Collodi è un pescecane e non una balena, come tutti invece sembrano ricordare (complice forse un certo inquinamento biblico); inutilmente. Pinocchio è stato inghiottito da una balena, punto e basta; era anche disegnato nel mio libro delle elementari.

Di recente ho dedicato alla mia special one uno scritto, lo potete leggere qui di seguito:

"Non si può amare solo con la voglia di amare.
Con il voler amare.
Con il voler restare.
Con il crederci.
Con io lo amo.
Perché poi non basta.
Non regge.
L’amore non basta per amare.
Bisogna che ci sia la storia, per amare.
La vita, per amare.
Non bastano le parole, per amare.
Neanche quelle giuste, bastano.
Neanche le parole d’amore bastano per amare.
Dobbiamo fare una passeggiata.
Dobbiamo cenare insieme.
Leggere un giornale.
Andare a fare la spesa.
Fare una cosa insieme.
Che sia nostra.
Che siamo noi.
Io e te.
Non basta fare sesso per fare l’amore.
Anzi.
Ci vogliono i baci.
Ci vuole anche solo stare con la fronte appoggiata alla fronte.
Per amare ci vuole una storia. Da vivere. Vissuta.
Ci vuole tempo.
Non puoi non esserci mai.
Per amare ci vuole una storia. Da fare e raccontarsi.
Non puoi non aver voglia di parlare.
Non puoi parlare sempre.
Una storia da fare insieme.
Non puoi trovare tutto pronto.
Arrivare quando tutto è fatto.
Io amo solo chi fa la giornata con me.
Chi fa la vita con me.
Chi fa la spesa con me.
Chi fa una passeggiata con me.
Chi fa tempo con me.
Chi fa storia con me.
Non amo se no.
Amo solo chi sa stare tutto con me.
Chi parla con me.
Chi torna da me.
Chi chiama per non dire niente.
Chi mi bacia la testa, tra i capelli, passandomi vicino.
Chi mi porta i capelli indietro.
Io non le voglio le romanticherie.
Voglio le cose che sono nella mia giornata.
Voglio che sono con te.
Fatte con te.
Raccontate a te.
E poi ti racconto le cose solo mie.
Che faccio io.
Entro e esco dalla tua vita.
E tu dalla mia.
Come l’ago che cuce .
Come l’ago che per unire, entra e esce."

Merita spendere due righe a riguardo. Ho letto questa poesia per la prima volta sulla bacheca di un'amica, attribuita nientemeno che a Frida Kahlo. Però, andando a cercar bene (sempre verificare le fonti!) ho scoperto che in realtà è di un bravo scrittore italiano, Mauro Leonardi, presa dal suo libro Il Diario di Paci.

E' successo che una pagina facebook dedicata alla poetessa messicana, che ha ancora parecchio seguito tra i romanticoni, l'ha pubblicata senza citarne l'autore. La poesia è stata poi condivisa a raffica presumendo che l'autrice fosse lei e ciao, ecco fatto il patatrac. OK, forse nemmeno questa è una post-verità, ma sto aspettando di leggere qualcuno che dica: E allora? Per me avrebbe potuto benissimo scriverla lei.