sabato 26 novembre 2011

Lucy

Le coincidenze alle volte sono pazzesche.

Nel 1966 un bambino di quattro anni di nome Julian ritrae una sua compagna d'asilo in un disegno. Probabilmente il bambino ha preso una piccola sbandata per la sua amichetta perché la disegna in maniera ideale, in un cielo naif pieno di diamanti, come solo i bambini sanno immaginare e disegnare. La bambina si chiama Lucy.

Di disegni come questi i bambini degli asili ne fanno a quintali; uguali, diversi, spesso anche più fantastici, ma con una cosa in comune: quasi nessuno di questi disegni lascia mai una traccia, un ricordo durevole nel corso degli anni.

Se il disegno è eccezionalmente bello o il soggetto sta particolarmente a cuore è possibile che finisca incorniciato sul comodino della mamma, o sulla scrivania del papà; è il massimo della popolarità a cui può aspirare di arrivare questo pezzo di carta colorata.

Ma al disegno del bambino Julian spetta un destino più luminoso. Anzi, unico. Perché il papà del bambino si chiama John Lennon. Mi piace pensare che il foglio usato da Julian fosse di recupero, come succede in molti asili, come ad esempio un avanzo di modulo continuo a righe grigie e coi buchini ai margini, oppure il retro bianco della pagina di un manuale di manutenzione ormai obsoleto.

Forse mi illudo, perché il John Lennon del '66 aveva già abbastanza soldi per mandare il figlio in un qualche asilo esclusivo, dove magari facevano dipingere i bambini su costosi cartoncini bristol color crema. Ma in fondo spero che il leader dei fab four sia stato così anticonformista da mandare il figlio in un qualunque normale asilo inglese.

Ad ogni modo, papà John vede il disegno e chiede al piccolo Julian: "chi è?"; lui risponde "è Lucy nel cielo, coi diamanti." Questa frase ispira al famoso cantautore il titolo di una canzone, "Lucy in the sky with diamonds" appunto, che viene pubblicata l'anno successivo nell'LP Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, e diventa un successo internazionale, ascoltatissima ancora oggi.

Lo so che tanti sono convinti che in realtà la canzone sia un inno all'LSD, a cui alluderebbero le iniziali delle parole Lucy, Sky e Diamonds. Anche il testo della canzone, volutamente onirico (si ispira al libro Alice nel paese delle meraviglie), rafforza questo sospetto, che all'epoca costò la messa al bando dalla BBC. Per uno stuolo di critici musicali e di fan il sospetto diventò certezza; e furono aiutati in questo anche da una "confessione" di quel grandissimo str...atega di Paul McCartney, il quale sostenne in un'intervista, che si trattava proprio di un inno alla droga. John Lennon invece per il resto della sua vita difese la propria versione, che anche a me piace di più. L'ipotesi dell'LSD mi sembra veramente cervellotica, e comunque triste rispetto alla bellezza dell'immagine di una bambina che vola in un cielo pieno di diamanti.

Già adesso la storia potrebbe bastare; il disegno e la bambina hanno avuto un successo e una popolarità veramente fuori dal comune, ben oltre le più rosee aspettative. Ma non è così, c'è un seguito, e anche importante.

Passiamo al 1974, per la precisione al 30 novembre. Un'equipe internazionale di paleontologi al lavoro lungo un fiume della depressione dell'Adar, in Etiopia, porta alla luce i resti fossili di un ominide di 3,2 milioni di anni fa. Questo ominide ha un cranio non ancora perfettamente sviluppato, ma può già camminare eretto sulle zampe (gambe) posteriori, e per questo motivo viene considerato l'anello di congiunzione tra l'uomo e la scimmia; la sua scoperta suscita clamore a livello mondiale.

Il fossile viene ribattezzato con la sigla AL 288-1, ma siccome è di sesso femminile e un'ignota anima bella tra i paleontologi della spedizione ha il vizio di ascoltare continuamente e a tutto volume una famosa canzone dei Beatles (certo, proprio "Lucy in the sky with diamonds") ecco che alla nostra progenitrice viene imposto lo stesso nome di battesimo della bambina compagna d'asilo di Julian Lennon!

E se pensate che sia finita, vi sbagliate. Facciamo un altro salto, l'ultimo, al 13 febbraio 2004, neanche troppo tempo fa. I ricercatori dell'università di Harvard annunciano di avere le prove che una nana bianca di nome BPM 37093, a 50 anni luce da noi nella costellazione del Centauro, è in realtà un gigantesco diamante del diametro di 4.000 Km e del peso di 2×1024 tonnellate (un 2 seguito da 24 zeri, per capirci).

Una nana bianca è cio che resta di una stella - come potrebbe essere il nostro sole - quando "muore"; questa qui in particolare è morta per aver consumato tutto il proprio materiale e averlo ridotto in ceneri di carbonio le quali - sottoposte ad altissime pressioni - si sono trasformate in diamante. E come pensate che abbiano soprannominato, gli scenziati, questo enorme diamante che vagola nel cielo? Esatto: Lucy, ancora una volta per via della canzone.

Questa storia ha due finali. Il primo, che avevo immaginato, è così:

"Da qualche parte nel mondo c'è una ragazza che da bambina è stata compagna d'asilo di Julian Lennon e che ha dato il titolo ad una celebre canzone dei Beatles, il nome ad un famosissimo australopiteco fossile e il soprannome ad un enorme diamante cosmico. Una ragazza che oggi è quasi cinquantenne. Auguri, Lucy."

Ma, come sempre, la realtà si è immischiata a rovinare tutto. Mentre cercavo un'immagine per illustrare il post, mi sono imbattuta nella foto della "vera" Lucy, una bella signora bionda dall'espressione felice e decisa. Come per tutte le cose che circondano e riguardano i Beatles, la sua identità è stata oggetto di studi e di ricerche. Anche il famoso disegno è stato rintracciato, e compare nel libro di qualche biografo particolarmente pignolo; potenza del fanatismo.

Si chiamava Lucy Vodden. E' morta nel settembre del 2009. Non è nemmeno riuscita ad arrivarci, ai cinquant'anni, come ingenuamente le ho augurato io, si è fermata a 46. L'obituary che ho letto riporta che Lucy ha lottato come un leone per alcuni anni contro il lupus, e di tanto in tanto Julian si è fatto vivo per sostenerla. Ma poi non ce l'ha fatta.

A me piace ricordarla com'era da bambina, con quel suo musetto sorridente e simpatico che faceva innamorare i suoi compagni d'asilo, con conseguenze veramente imprevedibili.

sabato 19 novembre 2011

La cruna dell'ago


Allora: qualcuno potrebbe trovare questo post un po' eccessivo, a partire dalla fotografia che pubblico in fondo. Ve lo concedo; l'argomento è abbastanza border line, e anche per questo motivo quella foto, che inizalmente pensavo di mettere all'inizio, l'ho spostata lì. Così puoi anche scegliere di non vederla, basta che ti fermi prima. Però questo post lo sento molto, voglio scriverlo e quindi lo scrivo.

Come forse hai intuito dal titolo e dalla foto, parlerò di aghi, e di "giochi" fatti con gli aghi. Non ci voglio girare attorno, adesso che lo sai sei libero di continuare a leggere oppure no.

Bene, visto che hai deciso di andare avanti devi sapere che una delle anime che, per me, sono presenti nell'SM è quella della sperimentazione. Intesa come continua ricerca di qualcosa di nuovo, mai provato prima perché sconosciuto o perché temuto. Anzi, più che una delle anime presenti, oserei direi che è uno dei motori principali del mio SM.

Non voglio dire che lo sia di chiunque perché, come giustamente mi è stato detto, ognuno ha il suo SM, ergo ne esistono tante varianti quante sono le teste che lo vivono o lo pensano. Probabilmente il segreto di una "felice vita di coppia SM" sta nel mettere insieme due persone con quasi lo stesso punto di vista sull'SM (anzi meglio: con punti di vistaopposti ma complementari), però ora sto divagando, meglio che rientro in carreggiata.

Come dicevo, la ricerca del superamento dei limiti e delle paure rientra nel mio concetto di SM. In generale sono pochissime le cose a cui dico (direi) di no a prescindere, proprio come il bambino a cui viene detto "non puoi dire «non mi piace» se prima non lo assaggi." Però qualcuna di queste cose che non vorrei mai fare c'è, e una di queste è sempre stata il gioco con gli aghi.
 
Il motivo è presto detto: ne ho sempre avuto una paura fottuta. Probabilmente si tratta di una paura inconscia, irrazionale: conosco abbastanza bene quei piccoli bastardi d'acciaio, con la loro punta acuminata tagliata di sbieco, e so bene che, al di là di quel pizzico particolare e acuto, non c'è molto altro da temere. Però tutte le volte che ho a che fare con loro (quelle poche volte, per fortuna), ad esempio per un prelievo di sangue, cerco sempre di non guardare, di non pensare a quel sottile tubicino di metallo che mi entra famelico nel braccio. E' più forte di me.

Però credo anche che quando il metallo incontra la carne, in quel momento si crea un rapporto contro natura, perverso. E quindi una cosa potenzialmente in grado di affascinarmi. Sembra un controsenso vero? Mi sa tanto che lo è, ma non ho voglia di stare qui ad esaminare i perché e i per come.

Qualche tempo fa per puro caso mi sono imbattuta su internet in un video molto cruento, in cui un master torturava la sua slave in maniera veramente orrenda. Parliamo di chiodi nei capezzoli, aghi di 20 cm. che trafiggevano il seno, e poi giù nerbate. Una cosa che, normalmente, mi fa accapponare la pelle e vomitare. Certo, hai voglia a dire che è tutto safe & consensual (consensual di sicuro, safe ho i miei dubbi...); è reale, le botte e il sangue sono veri, mica trucchi di Hollywood.

Però, ben nascosta sotto uno strato di disgusto, ho provato una strana eccitazione. Perversa, malata. Però è fuori di dubbio che l'ho provata e allora, come faccio di solito, ho iniziato a farmi domande, a esplorare e a sviscerare. La cosa in fondo era molto semplice: vedere i capezzoli trafitti dagli aghi mi ha eccitata. Vedere la slave immobilizzata ed impotente, helpless, mentre il master le perforava i capezzoli a volte lentamente, a volte con rapidità, mi ha fatto quasi venir voglia di essere io al suo posto, legata e trafitta come uno scarabeo.

Allora mi sono documentata (internet è una potenza per queste cose, se solo ci fosse stata vent'anni fa...) con un'idea fissa in testa: provare. Provare una cosa che considero terrificante, farla nonostante la mia paura, anzi proprio contro di essa, in sfida e in spregio. Ho studiato modi e precauzioni (una cosa che prego anche voi di fare molto attentamente se volete affacciarvi a questo mondo) e una sera, armata di una buona dose di coraggio, ho provato.

La prima volta, lo ammetto, sono stata una vigliacca. Ho puntato l'ago proprio al lato del capezzolo, con l'intenzione di attraversarlo da una parte all'altra proprio come avevo visto fare nel video, ma non ci sono riuscita che per un miserabile mezzo millimetro; mezzo millimetro! Dolore, nemmeno poi tanto. Fifa, parecchia. Uno a zero per l'ago, ma non mi sono arresa.

Qualche sera dopo ho raccolto ancora più coraggio, e stavolta ho fatto sul serio. Ho puntato, e spinto, spinto, spinto. L'ago ha vinto la resistenza della pelle con un pizzico del tutto sopportabile; un'altra spinta del polpastrello ed è finalmente entrato nella carne, all'improvviso, sorprendendomi.

Mi sono fermata per alcuni istanti a contemplare la scena: assurda. Il mio capezzolo con un ago piantato dentro. Mai successo, mai neanche lontanamente pensato che sarebbe successo, e invece eccolo lì. E adesso? Cosa fai, non vorrai mica tornare indietro? Vorrai mica toglierlo, dopo tutta la fatica che ti è costato?

Respiro profondo, e avanti. Le gambe tremano involontariamente, per fortuna sono seduta, spingo ancora, lentamente ma inesorabilmente. All'altro capo del capezzolo vedo lentamente spuntare qualcosa da sotto la pelle, come un piccolo foruncolo che pizzica dall'interno, altro piccolo dolore ed ecco che la punta esce, l'ago è passato. Con sollievo noto che non è uscita nemmeno una goccia di sangue.

Eccolo lì. Finalmente. Il babau che tanto temevo, alla fine è sconfitto. Ancora non ci posso credere. Provo un senso di profonda soddisfazione, e l'inizio di quella stessa sensazione di eccitazione che mi dava il video. Adesso sono lanciata, ora che ho visto che si può fare non mi ferma più nessuno. Un secondo ago mi penetra, andando ad incrociare il precedente ad angolo retto. Sempre lentamente, non ho il coraggio di tirare alla carne della mia carne le "pugnalate" che ho visto infliggere alla slave in tv.

Ripeto l'operazione sull'altro capezzolo; ho letto che "bucherellarsi" scatena un rilascio pazzesco di endorfine, lo posso confermare. Sento la testa leggera, una sensazione di felicità al centro del petto. Dolore zero. La sensazione dell'acciaio che viola l'intima morbidezza del mio seno è sconvolgente. "Il duro che vince sul morbido," proprio il contrario di quello che sosteneva Terzani; ciàpa, Tiziano. L'ago è passato attraverso di me, e finalmente io sono passata attraverso la sua cruna.

Qui bisogna immortalare l'evento e per una volta, quella nella foto, sono io. Se la vuoi proprio vedere, vai un po' più sotto.




















mercoledì 2 novembre 2011

Scusa, non è che hai 500 Euro?


Si dice in giro che le banconote da cinquecento rappresentino il 36% del totale in circolazione nell'area Euro; vuol dire oltre una ogni tre di tutte le altre. Una ogni tre. Due su tre sono tagli da mortaccioni, cinque, dieci, venti, anche cinquanta Euro; una su tre invece è una banconota VIP. Non credo che questa proporzione rispecchi correttamente quella della popolazione europea, se dovessi scommettere butterei lì un VIP ogni mille mortaccioni, al massimo millecinque. Oviamente io sto coi mortaccioni. E allora come mai questa sproporzione?

Una teoria molto accreditata sostiene che i biglietti da cinquecento siano stati stampati apposta per i trafficanti e i ricicloni, che non possono mettersi tutti quei soldi sporchi sui conti correnti (sarebbe una vera cafonata) e allora si portano in giro paccate di banconote sciolte. Quelle da cinquecento prendono meno spazio; in questo modo una valigetta 24 ore comoda e maneggevole può contenere circa sei milioni di Euro.

Il mio portafogli non ha mai avuto l'onore di ospitare un biglietto da cinquecento, il taglio più grande a cui sono mai arrivata (e mai arriverò) è - ovviamente - il cinquanta, che comunque rimane una creatura dall'esistenza effimera, costantemente minacciata e per questo sempre in via di estinzione.

Non avevo nemmeno idea di che colore avesse il cinquecento finché non sono andata a vedere su internet. Ecco, è color vinaccia. E ho scoperto anche una creatura di cui non sospettavo nemmeno l'esistenza, il giallone da duecento Euro.

Quello da cento invece una volta l'ho potuto osservare abbastanza da vicino; sarà stato un anno fa, alla cassa di un supermercato. La signora prima di me per pagare la spesa tirò fuori, a sorpresa, proprio un centone; era verde come un marziano e, per quel che mi riguardava, altrettanto alieno. Si fece silenzio all'improvviso, e tutti noi li intorno che stavamo assistendo al miracolo ci fermammo un istante, in attonita ammirazione, proprio come i magi davanti al bambinello.