martedì 27 dicembre 2016

I viaggi nel tempo della Dottoressa Syuzee Q



In fisica sono sempre stata più o meno una capra. E' che proprio non avevo voglia di imparare e tenere a mente le formule e le costanti, nonostante il mio professore di fisica fosse un sant'uomo, nei limiti di quanto può essere santo un ateo, e ce la mettesse tutta per ficcarmi nella zucca la sua materia.

Ricordo che una volta ci spiegò di come, credo secondo le teorie di Einstein, fosse impossibile il viaggio a ritroso nel tempo. E che se anche fosse stato possibile (ammesso di poter viaggiare più veloce della luce) tutto si sarebbe risolto solo nel poter riacciuffare e rivedere le immagini di quel che è stato, senza alcuna possibilità di interagire; una specie di cinema del tempo che fu, insomma.

Anni dopo ricordo che lessi una frase, sempre di Einstein (e sempre se la memoria non mi inganna): il tempo può essere "viaggiato" solo in avanti, verso il futuro, e le macchine del tempo in realtà esistono, e siamo... noi. Il nostro corpo è la macchina che trasporta in avanti nel tempo la nostra mente, per il pur breve arco della nostra esistenza.

Ho sempre trovato suggestiva questa cosa, anche per alcune similitudini che ho notato con la mia "condizione". Se è vero che il mio corpo "normale" fa quello che dice il buon vecchio Albert, è vero anche che il mio corpo "da Syuzee" mi permette un altro tipo di viaggio, che mai avrei immaginato quando l'ho iniziato.

Un viaggio all'interno di me stessa, nel tentativo impossibile di comprendere come sono fatta dentro, quali sono le vere leve che mi muovono, le pulsioni che ho, i limiti che mi frenano. Se vent'anni fa mi avessero detto che il crossdressing sarebbe stato uno strumento eccezionale per indagare su me stessa, mi sarei messa a ridere; oggi invece mi meraviglia constatare quanto ho scoperto, e quanto probabilmente ho ancora da scoprire.

Non ci credete? Provate a pensare a tutte le varie maschere pirandelliane che indossate durante il giorno, a quante persone diverse siete di volta in volta con gente della quale non vi fidate, oppure che vi fa sentire a vostro agio; con gli scocciatori, e con gli amici. E comunque ci sarà sempre, sempre una parte di voi che resta lì in agguato, nascosta nell'ombra, inespressa e che non si azzarda ad uscire per nessun motivo al mondo.

Non sto a spiegarvi io qual è questa parte, e del resto è diversa per ciascuno di noi, ma credo che se ci riflettete sopra un po' riuscite a trovare la vostra. Fatto? Adesso pensate all'aforisma (troppo abusato) di Oscar Wilde, "date ad un uomo una maschera e vi mostrerà il suo vero volto." Un'altra maschera direte voi; cos'ha questa di diverso?

Ebbene, supponiamo che questa maschera sia l'ultima, quella che sta sotto a tutte le altre; e sotto a questa non ci sia più niente, solo la nuda carne, il vostro nudo essere. Anche qui, non è per forza detto che questa maschera debba essere la stessa per ciascuno di noi; nel mio caso è il viso di una crossdresser, in altri casi invece è quello di uno slave, di una Femdom, di una Mistress, eccetera. Questa è la maschera che vi permette di essere come davvero siete, come nemmeno voi sapete di essere. Si potrebbe addirittura arrivare a dire che sia il vostro vero volto...

Nel mio caso a volte è così. Si tratta sempre e comunque di uno strato protettivo, ma il mio è molto sottile, sottilissimo, tanto da lasciar trasparire spesso e volentieri quel che c'è sotto senza che me ne accorga. Di recente un'amica che era presente alla mia prima uscita pubblica en femme mi ha raccontato il suo punto di vista su quella serata: mi ha detto che si vedeva benissimo quanto fossi meravigliata della naturalezza della situazione. Io mi sentivo come una bimba in un negozio di caramelle, ma proprio non credevo si notasse così tanto, visto che tutti i giorni mi tocca indossare un volto di cemento.

Qualcuno mi ha detto anche che ad essere praticamente senza filtri si rischia parecchio in un mondo come quello del BDSM. Ma sarà poi davvero così pericoloso? E' vero che, per alcuni "abitanti" di questo mondo, la maschera di Master, Mistress o slave non è nient'altro che l'ulteriore strato superficiale di una spessa corazza, una bugia messa sopra ad un cumulo di altre menzogne; ne ho conosciuta perfino io di gente così. Il segreto forse sta nel selezionare bene le persone delle quali vogliamo circondarci (per chi può permettersi il lusso di selezionare, ovviamente), e possedere una buona dose di intuito e fortuna.

Per ora il più delle volte è andata bene. Ma del resto cos'è l'SM senza il rischio? Tanto varrebbe andare a recitare il rosario dalle suore. Quello di poter essere finalmente me stessa è un gioco che vale la candela.

domenica 11 dicembre 2016

mIRC mon amour



L'epoca è la metà degli anni '90, quella pionieristica e sperimentale di internet, per lo meno qui da noi in Italia e, soprattutto, per me. Prima di Google (allora si usava Altavista), prima, molto prima di Facebook e della Wikipedia, che erano ancora nella mente di dio, quando il porno non era ancora il motore della rete (ma lo stava per diventare).

Ve li ricordate quei tempi? Ci si collegava a internet con la connessione via modem/telefono, ad una velocità assurdamente lenta e pure a consumo; esisteva già l'ADSL ma costava una fucilata e uno che conoscevo se la pagava versando tutto intero il proprio stipendio (a proposito, anche la connessione telefonica si pagava, e mica poco,,,)

Muoveva proprio allora i primi passi anche un altro tipo di rete, "parallela" al mondo solcato dai browser, chiamata IRC e dedicata esclusivamente alle chat. Per me fu una scoperta epocale: grazie ad un programmino free chiamato mIRC (il logo lo vedete qui sopra, ve lo ricordavate?) ci si poteva collegare a dei server, e da lì accedere a delle specie di canali tematici.

Funzionava così: alla mattina presto, appena arrivata in ufficio, giro veloce - per i pochi minuti che mancavano all'inizio dell'orario - su #latinoamerica, dove pescavo gli ultimi tiratardi sudamericani per fare un po' di pratica di spagnolo; a mezzogiorno pranzo veloce e poi una mezz'oretta su #milano, che all'epoca contava al massimo una ventina/trentina di utenti e ci si conosceva tutti.

Era un mondo con le sue regole (la prima netiquette) e il suo linguaggio; 10x per dire grazie, superlativi che finivano in "errimo" (tremenderrimo, pesanterrimo), le emoticons fatte con parentesi e punteggiatura, la chiocciolina prima del nickname che ti dava i superpoteri, tra i quali quello di bannare (altra parola nata lì) dal canale gli utenti indisciplinati o che semplicemente ti stavano sulle scatole... se ci ripenso mi commuovo. Cari digital natives, non avete inventato proprio un cazzo.

Si organizzavano le pizzate del canale e ci si ritrovava, e finalmente potevi dare un volto a quel soprannome con il quale avevi chattato tante volte; nacquero anche le prime storie d'amore e di corna, e anche i primi fake. Per un soffio mancai una persona che sarebbe diventata importantissima per me tanti anni dopo.

Poi, improvvisamente, il colpo di scena: i primi server e i primi canali dedicati all'SM. Purtroppo ho una memoria pessima e non ne ricordo bene i nomi, mi pare che uno di quelli che frequentavo si chiamasse #BDSM.it. Ricordo ancora qualcuno dei colleghi di chat: DragonLady, Regina, NoxDysphorica, Violetta, Do, Ludmilla, Mastro, Livewire...

Ora però stavamo già verso la fine degli anni novanta, primi del duemila. Fu allora che conobbi quella che è la mia amica di sempre, Lady Sweetlash. Quante ore passate a scambiarci chiacchiere, punti di vista, riflessioni, a gioire e consolarci, a tenerci compagnia... Da qualche parte devo avere ancora qualche log sopravvissuto, resti fossili di un'età gloriosa... Ogni tanto, ogni due o tre anni, provo a ricollegarmi ma niente, non sembra essere rimasto più niente e provo una struggente nostalgia per quei tempi così allora nuovi, esaltanti e naif. Mi sembra di aggirarmi in mezzo a rovine popolate da spettri.

Anche qui ci furono le cene di canale, e proprio a questo volevo arrivare. Iniziai ad entrare in contatto con la "scena" BDSM milanese (quella di allora), e non si può dire che l'esperienza sia stata delle migliori. Ricordo certi sguardi da predatore affamato, viscidi cappottini in pelle da SS nostrane, sussurri intimoriti/vogliosi all'indirizzo di alcune Mistress che - ovvove ovvove - facevano uso di strapon, ma soprattutto infantilismi e capricci che nemmeno all'asilo... e io me ne stavo lì in disparte ad osservare, il più delle volte allibita dalla pochezza di quei dominanti da operetta.

Il culmine, o meglio il fondo, lo raggiunsi durante una serata epica al ristorante indiano di porta Genova, dove la dea della sfiga volle farmi accomodare accanto ad un masterone barbuto veneto. Costui mi attaccò un clamoroso pippone durato tutta la serata; mi rivedo come in quella scena del film Fantozzi del '75, dove il rassegnato ragionier Ugo è a tavola con il compagno Folagra, l'ammorbante e logorroico estremista rosso. Uguale.

Il motivo del pippone fu presto svelato: la supposta schiava del masterone aveva scelto proprio quella sera per andare a giocare in villa con un altro master danaroso, e lui se ne era venuto rosicando a Milano per affogare la disperazione nell'alcol e nella loquacità patologica. Rovinandomi nel contempo l'esistenza per tre ore buone.

Tre ore che avrei potuto invece impiegare in maniera più utile e piacevole chiacchierando con l'altra mia vicina di posto, una ragazza torinese di nome Doretta che ricordo come molto gentile e carina. Ma niente, non fu possibile, la presenza veneta era decisamente troppo ingombrante e troppo disperata per lasciarsi ignorare, e io ancora troppo giovane e beneducata.

Ora, vorrei lanciare un appello personale e un avvertimento. L'appello è questo: caro master veneto, non mi ricordo che cazzo di nome avessi ma mi ricordo molto bene di te e sappi che, nel corso degli anni, ogni volta che ti ho ripensato ti ho maledetto dal profondo del cuore.

L'avvertimento invece è questo: gentili lettori, se vi dovesse mai capitare di partecipare ad una cena, brunch, aperitivo o anche solo merenda BDSM, state molto attenti a chi vi capita come compagno di tavola.

venerdì 9 dicembre 2016

Il valore di certe attese



C' era una volta un pescatore il quale, un giorno, ritirando le reti, vi trovò impigliato un vaso di rame.

Lo aprì e, come nelle peggiori barzellette, ecco che ne uscì un genio il quale disse:

"Io sono uno di quegli spiriti ribelli che si opposero alla volontà di Dio. Tutti gli altri Genii riconobbero il gran Salomone per profeta di Dio, e si sottoposero a lui. Sacar ed io fummo i soli che non volemmo commettere simile bassezza. Per punirmi ei mi chiuse in questo vaso di rame, e per esser certo che io non forzassi la mia prigione, impresse egli stesso sul coperchio di piombo il suo
sigillo ov’è inciso il gran nome di Dio. Fatto ciò, diede il vaso ad un Genio coll’ordine di gettarmi in mare.

Durante il primo secolo della mia prigionia giurai che se qualcuno mi liberava, l’avrei fatto ricco anche dopo la sua morte. Nel secondo secolo giurai di aprire tutti i tesori della terra a chiunque mi mettesse in libertà. Nel terzo promisi di far potente monarca il mio liberatore, di stargli sempre vicino, ed accordargli ogni giorno tre desideri qualunque natura si fossero.

Infine, disperato, giurai di uccidere senza pietà chiunque mi liberasse in seguito, non accordandogli altra grazia che la scelta della morte. Ordunque, poiché tu oggi mi hai liberato, scegli come vuoi ch’io ti uccida?" (Se volete sapere come va a finire mi sa che vi tocca leggere Le mille e una notte.)

Questa storia, che lessi tantissimo tempo fa, mi ritorna in mente di tanto in tanto. Cosa mi vorrà dire? Che forse aspettare è un po' morire? Che aspettare troppo istiga gli istinti omicidi? Ma l'attesa di un bacio non era pur essa stessa eccetera eccetera?

Ad ogni modo, fate attenzione a quando aprite un vaso. Ma ancora di più, a quando ci chiudete qualcosa dentro.

domenica 4 dicembre 2016

I limiti sono fatti per essere superati



"I limiti sono fatti per essere superati." Questa stessa frase, curiosamente, l'ho sentita dire da due persone diverse a distanza di tre anni.

La cosa curiosa è che la prima volta, nel sentirla, ho provato un immediato senso di repulsione e di fastidio, mentre la seconda invece l’ho stranamente sottoscritta e condivisa.

Possibile che in tre anni io sia cambiata così tanto da capovolgere completamente questo punto di vista? Non mi pare... e allora come mai questa reazione così diversa?

In effetti, ripensandoci bene, le due persone che, nel corso di un’amichevole chiacchierata, hanno in tempi diversi enunciato questa “verità” non potevano essere più distanti tra loro, e quasi certamente da questo è dipesa la mia reazione.

Falsa e opportunista la prima, tanto quanto è sincera e premurosa la seconda.

Perché quella frase, anche se è una sorta di luogo comune che gira nell’SM, cambia molto a seconda della bocca che la pronuncia.

Nel primo caso, la persona in questione sottintendeva il fatto che a lei, dello slave, fondamentalmente importava il giusto (cioè niente) e che durante il gioco lei faceva né più e né meno quel che le pareva, come se avesse tra le mani un pezzo di argilla. Senza alcun riguardo per la persona del poveraccio di turno.

Nel secondo caso invece era sottinteso che si può arrivare ad avere ragione di un bel po' di limiti soggettivi (specialmente quelli che hanno a che fare con paure e tabù personali) e forse forse anche di qualcuno di quelli oggettivi (non starò qui a spiegare cosa sono) ma solo a patto di trovarsi insieme alla persona giusta, con la quale si è stabilito un rapporto di complicità e reciproco rispetto, e due o tre altre cosette ancora.

In entrambi i casi la frase è stata secca, netta, senz’altri fronzoli o aggiunte; ma anche le due spiegazioni implicite qui sopra erano altrettanto nette e palpabili. Un paio di labbra collegate ad un cervello (e a un cuore) piuttosto che ad un altro: che differenza eh?

martedì 29 novembre 2016

Segnali



L'ispirazione, si sa, è una brutta bestia, che può venire nelle occasioni più insolite, quando meno te lo aspetti.

Ieri notte, ad esempio, alle tre e mezzo, mi sono svegliata di colpo ed ho percepito molto chiaramente un pensiero, in quella strana e perfetta lucidità del dormiveglia.

Il pensiero è questo: anche se i segnali sono contrari, assolutamente, del tutto contrari, a volte occorre andare avanti ugualmente, vivere fino in fondo.

A qualunque costo, come falena verso la fiamma.

mercoledì 23 novembre 2016

Quando



Quando

Il suo tocco non ti farà sentire i brividi lungo la schiena
Guardarla negli occhi non ti farà abbassare lo sguardo
Ascoltare la sua voce non ti farà più tremare
La sua mano tra i tuoi capelli non ti scioglierà il sangue nelle vene
Il suo sorriso non ti riempirà più il cuore di felicità

Allora, soltanto allora

Potrai avere i brividi, abbassare lo sguardo, tremare, sentirti sciogliere

Veramente

Ed essere felice

Syuzee Q

martedì 8 novembre 2016

Una semplice pasta al burro


Una delle prime, basilari forme di cura e di attenzione per l’altrui persona è il cucinare. E’ direttamente collegata alle radici più antiche della razza umana, all’istinto del cacciatore primitivo che portava a casa la preda per sostenere la sua tribù. Un cosciotto di pterodattilo, un giorno di vita in più. Questa è forse una delle forme d’amore più potenti che conosco, autentica magia bianca, che ho cercato di imparare – con alterne fortune – dalle donne della mia famiglia, gente che ha patito la fame e che sa quale valore dare al cibo, anche alle bucce.

Conosco persone che sono delle pessime cuoche, svogliate, pigre; forse amano i loro cari in un altro modo, ma non di certo in questo. Cucinare è passione, dedizione, impegno, e anche una buona dose di perfezionismo; eppure le ricette che ho ereditato hanno tutte dosaggi rigorosamente e orgogliosamente a occhio (un fià de questo, un toco de quelo…), e quindi anche di istinto. Il trionfo del "q.b.", che mi mandava ai pazzi quand'ero giovane e che invece ho imparato ad amare.

Ma, soprattutto, per me cucinare ha bisogno necessariamente di un destinatario. Io non riesco a cucinare per me stessa e, quando sono da sola preparo le peggio schifezze confezionate; per essere veramente soddisfatta ho bisogno di qualcuno che mangi. Una persona alla quale i miei piatti dicano, silenziosamente: “vieni qua, siediti, lascia che ti coccoli con quello che le mie mani hanno saputo preparare per te, togliti la fame e appaga lo spirito, e dimmi – anzi no, mi basta solo che me lo fai capire con lo sguardo – che ti piace e che sei contenta.”

Oh intendiamoci, niente nouvelle cuisine o cose particolarmente elaborate, solo sana e robusta cucina tramandata da una stirpe di muratori e minatori. (Anche se non è proprio vero, qualche volta cerco di fare cose un po’ strane, come ad esempio gli spaghetti blu della foto sopra; e sono veramente blu).

Nel cucinare, ogni gesto esprime profondo rispetto per chi mangerà; niente mani sporche, cose cadute per terra, parti di scarto, ingredienti da poco. Eppure, e forse vi suonerà strano, anche preparare una semplice pasta al burro (niente olio, da noi al nord usa così) può essere un gesto d'amore. Oppure no.

Partiamo dall’inizio: già scegliere il tipo di pasta vien fatto sulla base dei gusti personali del destinatario, e delle circostanze. Io adoro gli spaghetti, vivrei solo di quelli; ma a casa mia la pasta al burro di solito si fa quando qualcuno non sta bene ed è in via di guarigione. In questo caso lo spaghetto può essere scomodo da manovrare; le farfalle tendono a restare crude nel mezzo, i conchiglioni son troppo grandi e sdrucciolevoli, i fusilli si sfaldano, e compagnia cantante.

Vogliamo parlare poi del salare l’acqua? Solo sale grosso, marino, con dosaggio (anche qui) rigorosamente istintivo, fatto a mano, retaggio dei secoli bui, di streghe, paioli e pipistrelli… E il grado di cottura? Ci si potrebbero perdere le ore a discutere, ognuno lo vuole a suo modo… Per come la vedo io gli spaghetti bisognerebbe che fossero ancora duri, quasi vivi, e per chi scuoce la pasta ci dovrebbe essere il penale. Ma qui hai davanti un visino pallido e smunto (facia de peri cotti, faccia bianca come le pere cotte), occhi febbricitanti, stomaco in disordine... mezza cottura, via.

Pensi che sia finita? Ti sbagli, è appena cominciata.

Solo da come uno mette il burro nel piatto ti posso dire se è una persona amorevole oppure se è una che ti detesta.  Quest’ultima piazzerà una specie di blocco di marmo congelato al centro del piatto; poi ci rovescerà sopra di malagrazia una manata di pasta, magari lasciata a raffreddare nel frattempo nel colapasta; le pennette si sparpaglieranno in giro per il piatto e, tra il piatto freddo e la pasta sparsa, che presto diventerà gelata, il burro non si scioglierà bene e farà una specie di pappetta bianchiccia e oleosa la quale, mischiandosi al formaggio già grattugiato e asciutto di frigo, risulterà particolarmente disgustosa e indigesta.


Io invece sfiletterò il burro in listarelle sottili, in trucioli leggeri, che quasi si sciolgono sulla lama del coltello; andranno a posarsi nel piatto come petali di ciliegio in Giappone d’autunno, ognuno nel punto giusto. Lo farò alcuni minuti prima, di modo che i petali possano ammorbidirsi e, quando riceveranno le tagliatelle bollenti, sciogliersi in un amoroso abbraccio, proprio come dev’essere. La pasta sarà ancora ben calda, ammonticchiata in un armonioso cucuzzolo al centro di un piatto ben pulito, quando riceverà una discreta e soffice nevicata di parmigiano grattugiato di fresco.

Ti proverò la febbre come faceva mia nonna, con un bacio sulla fronte, e ti dirò che finalmente non scotti più.

mercoledì 2 novembre 2016

La donna VHS



Nei bei tempi andati esisteva un oggetto che i più giovani - poveri loro - non hanno mai visto e solo in qualche caso hanno sentito descrivere: si chiamava videoregistratore VHS.

Era un oggettino che, nel suo piccolo, ha rivoluzionato la vita di tutti i giorni delle persone: per la prima volta si potevano registrare dei film o dei programmi per rivederli in un secondo momento, vedere dei film presi a noleggio (e lasciamo stare per favore il filone del porno che ci sarebbe da parlare per dei giorni), eccetera.

Al giorno d’oggi, dove tutto ormai si sta virtualizzando, e a momenti anche il lettore DVD sta per andare in pensione, quel che ha rappresentato il VHS per noi “matusa” è difficile da capire, e anche noi ce lo siamo un po’ dimenticato, ammettiamolo.

Chi lo ha vissuto, ricorderà che il videoregistratore si accoppiava alla televisione mediante la fatidica presa Scart, e questo connubio aveva una particolarità: quando accendevi il videoregistratore, il segnale attivava una specie di interruttore nella TV che scollegava qualsiasi altro canale fosse stato scelto in quel momento, e passava immediatamente al film registrato. Una specie di imperativo categorico elettronico, totalmente automatico e inevitabile; a meno di non aprire la TV e tagliare un cavetto, o un diodo, o che so io.

Questo fenomeno mi ricorda delle persone (non tante a dire il vero, ma abbastanza) che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita. Tutte invariabilmente di sesso femminile, che funzionavano con me un po' come il videoregistratore VHS per la TV. Non appena apparivano, avevano il potere di scollegare del tutto e immediatamente la mia “normale programmazione”, e arrivare dritte al cuore.

Impossibile dire cos’è precisamente questo “segnale pirata” che si impadronisce di me (facendomi fare il più delle volte, in passato, la figura della beota), è qualcosa di totalmente inevitabile, impossibile da contrastare e contro la quale non ho difese. C’è un modo di dire inglese, intraducibile correttamente, che lo descrive: “I can’t help it.”

E’ un cavallo di troia, è come avere dentro una specie di sabotatore della razionalità pronto a colpire a tradimento, a comando (altrui), e a perdermi. Però, ad essere davvero, davvero oneste, mai come in questi casi è vero il verso: “e naufragar m’è dolce in questo mare.”

martedì 1 novembre 2016

Ordinaria follia



Momenti di ordinaria follia. A volte mi prendono. Tipo quando scrivo sul blog, o in chat, e parlo/penso assolutamente al femminile. Anche se ho addosso i jeans, la camicia e una barba di tre giorni, quest'ultima una cosa che una donna proprio non dovrebbe avere. Certamente, follia. Ma sono la sola?

Ognuno di noi ha un personaggio dentro la testa, e questo personaggio non è proprio aderente alla realtà. E' un fatto ormai accertato che ognuno di noi pensa, crede (nella propria testa) di essere migliore di come in realtà è. Anche il peggior figlio di puttana sotto sotto è convinto di essere un buono. Senza arrivare a certi estremi, è un fatto incontrovertibile che tutti noi (quasi tutti, vabbé) siamo molto indulgenti con noi stessi, ci perdoniamo praticamente tutto, abbiamo sempre la scusa pronta e il capro espiatorio bell'e fatto.

Ci vuole molto coraggio e coerenza per guardarsi allo specchio e riuscire metaforicamente a sputarsi in faccia. Ma, e anche questo è un fatto, coraggio e coerenza sono merci che non sempre si trovano sottomano. Dopotutto siamo solo umani.

A volte, e sarà successo anche a voi, mi guardo allo specchio e mi chiedo: ma sono davvero io quella? Sono mie quelle mani, quel viso, quei capelli? E' proprio dietro quella fronte che si nasconde il cervello bacato che in questo momento sta partorendo 'sti pensieri da alienata mentale? E il sospetto di vivere in un corpo non mio viene, eccome se viene...

Chissà, magari il mio vero "io" sta da un'altra parte, e il corpo nel quale abito tutti i giorni è un simulacro (però, porca puttana, potevo anche sceglierlo meglio!) Un po' come la "proiezione residua di sè" citata in Matrix. Ecco, almeno potevo essere figa e bionda e in grado di spaccare tutti col karate. Mi sa invece, sempre per continuare la metafora di Matrix, che sono uno sfigato bianchiccio e molliccio, incastrato in un sarcofago e con un tubo di gomma in ogni buco (sì, anche lì).

Poi c'è invece come mi vede il mondo. Ah, è quello è proprio tutto un altro capitolo. Mi viene in mente un dialogo che ho avuto con una tizia, una stordita del Veneto che mi aveva cercato ai tempi in cui Messenger non era ancora stato ucciso da Skype. L'ho recuperato e ve lo riporto integralmente:


Syuzee:  come mai mi hai cercata?
Stordita: ero curiosa di te, ma non scrivere al femminile dài.
Syuzee:  perché non dovrei, scusa? io scrivo come mi sento...
Stordita: così, non mi piace molto, tutto lì.
Syuzee:  sento di doverti dire una cosa riguardo al "parlare al femminile." E faccio conto che il tuo interesse per noi trav sia sincero, e non una cosa tipo "fenomeno da baraccone." Ognuna di noi fa come si sente meglio. Conosco trav che parlano "da maschietti" e altre invece che fanno come me. Una frase come la tua, "non scrivere al femminile, dài" potrebbe urtare la suscettibilità di qualcuno. In fondo siamo tutte persone sensibili, non trovi?
Stordita: sì, ma farlo dal vivo mi potrebbe andare bene, scriverlo così mi fa un po' ridere.
Syuzee:  beh, quello è un problema tuo. Devo dedurre che un l'effetto "fenomeno da baraccone" alla fin fine un po' ci sia, e lo trovo triste da parte tua.


Dieci minuti dopo mi ha postato la foto delle sue tette. I trav spaccano.

martedì 25 ottobre 2016

SYSTEM ERROR



Nella prima puntata della serie Westworld, che sto seguendo con moltissimo interesse, si può sentire uno straordinario e inquietante Antony Hopkins recitare (grossomodo) il seguente dialogo:

"L'evoluzione ha plasmato tutta la vita senziente su questo pianeta, usando un unico mezzo, l'errore. Tu stesso sei il risultato di trilioni di errori."

Mi sembra un'affermazione molto vera, ma sento che merita una precisazione. Siamo il risultato dei trilioni di errori di chi ci ha preceduto, è vero, ma io ci aggiungerei anche quel milione o due di topiche che prendiamo noi, nel corso della nostra miserabile esistenza.

Che se poi andassimo alla ricerca dei duplicati scopriremmo che, in realtà, facciamo più o meno sempre gli stessi sbagli; come si dice, perseverare è diabolico. Per me, per lo meno, vale così; ci sono errori dai quali non riesco a scappare, e altri che invece non voglio, semplicemente, evitare.

Non voglio smettere di provare a fidarmi delle persone, per quante legnate nei denti (metaforiche, eh) possa prendere. Però alla lunga è una cosa stancante, che logora, che sfianca. Ogni volta spero che mi resti almeno un po' di forza per la volta dopo; per il momento qualche briciolino c'è ancora, vedremo quanto dura.

Certo, tre o quattro volte ho scommesso tanto e ho vinto moltissimo; e una vocina dentro mi dice che forse dovrei ritirarmi con la "vincita", e godermela; ma non ci riesco, non ce la faccio: sono avida, avida di calore umano, una specie di vampiro emotivo. Sono il bene che porto e quello che ricevo che mi tengono viva. Al cor gentile rempaire sempre amore; questo mi piacerebbe che fosse scritto sulla mia lapide. Ma, fatto abbastanza curioso, è proprio questa fame che in qualche caso ha mandato tutto a puttane,

Lo so che qualche volta, e magari anche più di "qualche", sono stata io lo "sbaglio" di qualcun altro; ma non è che consola, anzi.

lunedì 24 ottobre 2016

Arcobaleni



Immagina una cosa già triste di per sé come la tangenziale di Milano. Ma fatti del male, falla ancora più triste aggiungendo le cosiddette "4 F" milanesi: famm, fumm, frecc e fastidi ("fame, fumo, freddo e fastidio"). Mettici anche una pioggerellina fine, maledetta, di quelle trasformano il traffico in marmellata e la macchina in una saponetta. E dire che nemmeno 48 ore prima quella stessa macchina la guidavi en femme con stivali tacco dieci (altro che scarpe da tennis), prode e fiera, infischiandotene pure del rischio di beccare 200 euro di verbale (art. 85 Regio Decreto 18 giugno 1931).

Passi davanti al bar ma è tardi, il cappuccio e la brioche ti fanno ciaone grande. Parcheggi in ultima fila, praticamente nel comune di fianco. L'ascensore è occupato, e ti spari tre piani di scale. Davanti alla macchinetta del caffè staziona quella manica di bastardi dell'amministrazione, che non ti saluta nemmeno se gli punti contro un mitra carico. Hm-mmm, La giornata sta proseguendo di bene in meglio.

Ti spari un tè insipido e una ciambellina che sembra di cartapesta, con abbondante colla vinilica. Quell'analfabeta funzionale del tuo capoufficio ti chiama ogni due minuti perché non riesce a far funzionare il CercaVert, o perché non sa allegare un file ad una email (nel 2016). Nel mentre ti ammorba col resoconto della partita di domenica dell'Inter, e a te già non te ne frega un'amata del calcio, figuriamoci dell'Inter.

 La natura fa il suo corso, e a tempo debito il tè vuole tornare nel mare. Ma la turca è rotta, perde acqua da sotto e ha già allagato mezzo bagno. In quella entra l'amministratore delegato (ripeto: l'amministratore delegato) e chiede a te perché non hanno ancora installato il wc nuovo. Ti guardi in giro di sottecchi per vedere se per caso sei su candid camera, poi fuggi.

Poi ti telefonano che c'è un errore nel catalogo elettronico. Poi che manca il materiale a magazzino, ma non da oggi, no; da marzo. E te lo dicono solo ora. C'è un cliente è incazzato perché gli hanno respinto un reso e vuole compiere un sacrificio umano. Vuoi prendere l'appuntamento per il tagliando della macchina di cui sopra, che sei già mille chilometri oltre il limite e il milleesei è un motore delicato, ma il sito della Citroen non funziona.

Arriva sera, il ritorno è la fotocopia dell'andata, che te lo scrivo a fare. Arrivi a casa ma esci subito per correre alla scuola di teatro. Le altre madri, fuori in attesa come te, sono l'apoteosi dello snobismo e della banalità; ti getteresti loro addosso con una bottiglia di napalm per mano. Ah, c'è ancora da preparare la cena.

Ma.

Ma, per tutto il tempo, per tutto il fottutissimo tempo, è come se uno stormo di cherubini, in volo a bordo di una mandria di unicorni che sparano arcobaleni dal didietro, cantasse a tutto spiano canzoni dei Madness sotto un cielo estivo caldo, luminoso, sereno,

Ecco come.



(Sì, lo so, ma provateci voi a trovare l'immagine di un cherubino a bordo di un unicorno che spara arcobaleni. Se ci riuscite vi do dieci euro.)