lunedì 9 aprile 2018

Cari analfabeti funzionali...

Non ho un grandissimo rapporto con la penna o la tastiera. Forse dal blog non sembra, oppure sì. Soppeso ogni riga, quasi ogni parola, limo, ritaglio, correggo. E poi ci ritorno sopra ancora e ancora. Forse è questo che mi sta togliendo il piacere di scrivere. Ma stasera voglio provare a fare un esperimento, a scrivere di getto, senza rileggere (OK tanto so che questo non ci riesco a farlo, ma prometto che rileggerò pochissimo), proprio come un vero analfabeta funzionale. Voi che leggete, per favore provate a passarci sopra e a concentrarvi più sul contenuto che sul contenitore, a badare più alla sostanza che alla forma.

Cari analfabeti funzionali...

Gustav Schroeder

Pare che uno degli argomenti del giorno da voi preferiti sia quello dell’immigrazione. Un po’ per via della costante emergenza che l’immigrazione rappresenta per il nostro Paese, un po’ per come la questione è stata recentemente cavalcata, in campagna elettorale, da un po’ tutte le forze politiche – e in maniera abbastanza indegna di un paese civile.

Dai vari interventi ho ricavato la seguente impressione: la tendenza italiana del momento è che gli immigrati siano persone – anzi no, non persone, ma praticamente delle bestie – responsabili di quasi tutti i mali della nostra Patria adorata, e che alla minima contrarietà andrebbero rimessi sui gommoni (magari bucati, come ho visto scrivere a qualcuno) a calci nei denti, e rispediti al loro paese. Ah, tutto questo ovviamente per mostrare loro come funzionano le radici cristiane dell’Italia e dell’Europa. Ma se Gesucristo tornasse oggi, vi sputerebbe in faccia. Forse è per questo che in tanti desiderate che sia LVI a ritornare.

Ad ogni modo, chi la pensa diversamente da quanto sopra è un buonista del cazzo, una zecca (piddina o comunista, è uguale) e dovrebbe prendersi, oltre ad un po' di legnate, anche qualche immigrato a casa propria, così capisce veramente eccetera eccetera. Senza appello.

Facciamo un esperimento (attenzione, è richiesta una minima conoscenza della lingua inglese). Andate su google e digitate due parole: “gas attack”. Guardate qualche filmato delle prime due o tre pagine dei risultati. Sono video di attacchi effettuati con gas nervini sulla popolazione civile siriana. Non si sa bene chi sia stato, forse Assad, forse qualcun altro, ma si parla di una settantina, un centinaio di morti.

Guardate donne e bambini stesi a terra, ammucchiati alla rinfusa dentro i rifugi, le bocche e gli occhi incrostati del muco che li ha soffocati. Guardate quella donna caduta a terra con il figlio in braccio, mentre un altro figlio sui cinque o sei anni, la zazzeretta nera di capelli, è riuscito a fare ancora un paio di passi a piedi scalzi prima di cadere faccia a terra sul cemento polveroso per poi non rialzarsi più.

Una posa che mi ha ricordato, orribilmente, quella di Aylan, il bambino siriano morto affogato su una spiaggia della Turchia nel 2015. Due volti della stessa tragedia. Provate a pensare, voi, proprio voi che state leggendo, di passare una notte sotto i bombardamenti, con la paura di morire bruciati, schiacciati, o soffocati dal gas in un qualunque momento. Voi o i vostri figli, se ne avete. Voi che basta un mal di denti, una febbriciattola per farvi passare una nottataccia d’inferno, e la mattina dopo andare in giro come zombie. Provatelo una volta sul serio l’inferno, quello vero. Vivete almeno una volta la stessa paura che i vostri nonni molto probabilmente hanno provato durante l’ultima guerra.

Già, perché poco più di settant’anni fa queste cose succedevano proprio qui da noi, nella civilissima (?) Italia. Purtroppo sembra che all’Italia e, assieme a lei, a tanti paesi d’Europa e del mondo, la memoria storica stia cominciando a fare cilecca; c’è aria di nostalgia di certi loschi figuri che sono stati responsabili e/o complici di milioni di assassinii. Sembra proprio che una lezione, imparata a caro prezzo – versando il sangue di milioni di persone – sia stata già dimenticata, o forse mai imparata.

Questo, per lo meno, se devo dar credito ad una notizia di pochi giorni fa: l’Italia, come dicono certi studi, è la patria degli analfabeti funzionali, dei beoti facilmente impressionabili e manipolabili, di quelli che blaterano senza pensare sull'onda di un'indignazione tanto intensa  e feroce quanto mal riposta e momentanea.

Io spero invece che in realtà si tratti di altro: di un fenomeno ben conosciuto per cui un imbecille che strilla si sente di più di cento saggi che stanno in silenzio. Però adesso occorre che quei cento saggi la piantino di stare zitti e comincino a farsi sentire, perché altrimenti qui va tutto a puttane.

Scusate, ho divagato un attimo. Torniamo al nostro esperimento. Allora, abbiamo visto queste immagini; molto graphic, molto crude, che fanno sanguinare gli occhi e fremere la coscienza, se ancora ne avete una. Persino Trump si è indignato, ed è tutto dire. Adesso provate a rispondere: di fronte a gente che scappa da un orrore del genere, di fronte a un padre o una madre che cerca di portar via i propri figli da una guerra così, dove puoi morire a cinque anni vomitando i polmoni fuori dal corpo, ce l'avete il coraggio di scendere in strada a metter su barricate, a sbarrargli il passo come hanno fatto in vari paesi qui da noi, di urlargli contro “fuori dal mio paese!” agitando bastoni davanti alle loro facce, per paura di dover condividere le vostre cazzo di quattro carabattole di merda?

Facciamo un altro esperimento, stavolta ve lo faccio facile, niente inglese. Provate a leggere la storia della nave St. Louis. Un racconto molto scorrevole e interessante lo ha scritto Julian Barnes in Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2. Ma se siete analfabeti funzionali, difficilmente nel corso degli ultimi dodici mesi avete letto qualcosa (se non, forse la Gazzetta) e non avete la minima voglia di mettervi a farlo proprio ora. Vi aiuto io, ma in maniera molto sintetica.

Il transatlantico St. Louis era una nave della compagnia tedesca Hamburg-America. Nel 1939 imbarcò 930 rifugiati ebrei che scappavano dalla Germania, e compì quello che oggi viene ricordato come il Viaggio dei Maledetti. Il comandante della nave era una brava persona – per questo voglio ricordarne il nome, Gustav Schröder – e cercò di trattare i suoi passeggeri in maniera umana e dignitosa, nonostante le mille difficoltà che avrebbe incontrato e il fatto che milioni di suoi compatrioti la pensassero in maniera molto diversa dalla sua, e volessero appenderli per il collo.

Gustav Schröder lo potete vedere in foto, su in cima alla pagina; lo so, sembra difficile credere che fosse un antinazista, forse per via dei baffetti alla Adolf, ma lo era, era un essere umano nel vero senso della parola, e oggi è anche un giusto delle nazioni.

La St. Louis era inizialmente diretta a Cuba, dove sembrava che gli ebrei in fuga potessero essere accolti, ma non fu così; il paese sbarrò le frontiere (grazie ad un cavillo i fuggitivi vennero designati come turisti, e quindi respinti) e la nave rimase all’ancora sotto il sole dei tropici per giorni e giorni, inutilmente; alla fine solo in 29 riuscirono a sbarcare.

Il piroscafo si diresse allora verso un’altra nazione civilissima, gli Stati Uniti d’America, land of the free, ma anche lì fu rimbalzata; caso strano, si scoprì che l'America era razzista e xenofoba. Anche il Canada si oppose ad accogliere gli ebrei fuggitivi, e lo stesso fecero, a ruota, Repubblica Dominicana, Venezuela, Ecuador, Cile, Colombia, Paraguay, Argentina. Nessuno volle accogliere quel carico umano in fuga.

Venne invertita la rotta in direzione dell’Inghilterra; l'idea era quella di appiccare il fuoco alla nave in vista delle coste inglesi per costringere i Britons a salvare i passeggeri ed accoglierli, ma America e Inghilterra si misero d’accordo diversamente. La St. Louis fu fatta arrivare ad Anversa, nel Belgio, a poche centinaia di chilometri di distanza da dove la nave era originariamente partita pochi mesi prima, ma dopo un viaggio di oltre diciottomila chilometri attraverso un oceano di indifferenza ed ipocrisia.

I suoi passeggeri furono sbarcati e smistati: poco meno di trecento finirono in Gran Bretagna, gli altri furono divisi tra Belgio, Francia e Olanda dove, almeno per un po’, si credette che fossero al sicuro. Ma con l’invasione, nel 1940, di questi tre paesi da parte della Germania, e con i rastrellamenti, le deportazioni, i campi di concentramento e sterminio che seguirono, nessuno può dire oggi con certezza quale fu il destino dei maledetti. Volete provare ad immaginare?

Ora, domanda da un milione di dollari (e fine dell’esperimento): se praticamente tutto il mondo civile del 1939 respinse degli ebrei che stavano fuggendo dalla minaccia concreta dei pogrom e dello sterminio, volete forse voi oggi, nel 2018, accogliere gente che scappa da una semplice guerra?

Che poi io lo so, voi siete quelli che a guardare Schindler's List vi è scesa pure la lacrimuccia, e se ve lo facessi rivedere in questo esatto momento sareste pure pronti ad accogliere a braccia aperte gli ebrei della St. Louis (vabbé, magari non tutti e 930), perché voi italiani in fondo siete brava gente. Voi italiani del 2018, perché quelli del 1939 mica tanto, anzi forse (anche) loro avrebbero ricacciato in mare quei rifugiati.

E comunque no, voi italiani del 2018 non siete brava gente, state facendo vedere di essere fatti esattamente della stessa pasta di quelli che facevano arrivare i treni in orario, e che “però hanno fatto anche delle cose buone”. Io potrò anche essere una buonista del cazzo, ma voi siete complici di assassini, quelli di allora e quelli di oggi.