martedì 25 gennaio 2011

L'Azteco



Molti libri contengono pagine e pagine che non dicono assolutamente nulla. Altri invece sono memorabili. Quelli appartenenti a questa seconda, fortunata categoria di solito contengono una frase o un periodo che rimane scolpito nella nostra memoria, e che in qualche modo riassume in sè l'intera storia narrata dal libro come se ne fosse il succo, il distillato; come se le altre pagine fossero foglie e buccia, e queste invece ne rappresentassero la polpa.

Tra tutti i libri che ho avuto la fortuna di leggere, L'Azteco di Gary Jennings - che mi accompagna da ormai oltre vent'anni - è uno dei miei preferiti. Di seguito trascrivo quello che, secondo me, ne è il "cuore", e che descrive il dialogo tra Mixtli, il protagonista ("l'azteco" del titolo) e l'apparizione del dio Vento Notturno.

«Non mi ubriacavo in questo modo da un pezzo. L'ultima volta deve essere stata sette o otto anni fa. E rammento... Dissi allora che un giorno, in qualche luogo, mi sarei incontrato con un dio e gli avrei domandato... sì, gli avrei domandato questo: perché gli dei mi lascino vivere così a lungo, mentre hanno stroncato ogni altra persona che mai mi sia stata vicina? La mia cara sorella, la mia diletta moglie, la mia figlioletta tanto adorata, e un così gran numero di intimi amici, e persino amori fuggevoli... »

«E' facile rispondere a questa domanda» disse la lacera apparizione che sosteneva di essere il più Vecchio dei Vecchi Dei.

«Quelle persone erano, in un certo qual modo, i martelli e gli scalpelli impiegati per scolpire te, e si spezzarono e vennero gettati via. Ma non te. Tu hai sopportato tutti i colpi e gli scalpellamenti e i raschiamenti.»

Annuii con la solennità dell'ubriachezza e dissi: «Questa è una risposta da ebbri, se mai ne ho udita una.»

L'apparizione impolverata che si faceva chiamare Vento Notturno disse: «Tu più di ogni altro, Mixtli, sai che una statua o un monumento non escono già scolpiti dalle cave di arenaria. Devono essere foggiati con strumenti, levigati mediante polvere di ossidiana e induriti esponendoli agli elementi. Soltanto dopo essere stati scolpiti e resi duri e levigati si prestano ad essere utilizzati.»

«Utilizzati?» dissi aspro. «Al termine sempre più fioco delle mie strade e dei miei giorni, di quale utilità potrei mai essere?»

Vento Notturno rispose: «Ho menzionato un monumento. Esso non fa altro che restare eretto, ma questa non sempre è una cosa facile a farsi.»

«E non diventerà più facile» disse il più Vecchio dei Vecchi Dei. «In questa stessa notte, il tuo Riverito Oratore Motecuzòma ha commesso un errore irreparabile, e ne commetterà altri. Sta per giungere una tempesta di fuoco e di sangue, Mixtli. Tu sei stato foggiato e indurito per un solo scopo. Per sopravvivere ad essa.»

Ebbi un nuovo singulto e domandai: «Perché proprio io?»

Il Più Vecchio dei Vecchi Dei disse: «Molto tempo fa, ti trovasti, un giorno, sul pendio di un monte non lontano da qui, indeciso se compiere l'ascesa. Ti dissi che nessun uomo ha mai vissuto alcuna vita tranne quella scelta da lui stesso. Tu decidesti di salire. E gli dei decisero di aiutarti.»

Risi un'orribile risata.

«Oh, non avresti potuto apprezzarne le premure» ammise lui «non più di quanto la pietra riconosca i benefici arrecatile dal martello e dallo scalpello. Ma ti aiutarono e come. E tu contraccambierai adesso i loro favori.»

«Sopravvivrai alla tempesta» disse Vento Notturno. Il Più Vecchio continuò: «Gli dei ti aiutarono a divenire un conoscitore delle parole. Poi ti aiutarono a viaggiare in molti luoghi, a vedere, imparare e avere molte esperienze. Ecco perché, più di ogni altro uomo, tu sai com'era l'Unico Mondo.»

«Era?» gli feci eco.

Il Più Vecchio dei Vecchi Dei fece un gesto ampio con lo scarno braccio. «Tutto questo scomparirà alla vista e al tatto e ad ogni altro senso umano. Esisterà soltanto nella memoria. Tu sei stato incaricato di ricordare.»