mercoledì 21 settembre 2011

Bavetta


Nella stazione di Sant'Agostino c'è una scala mobile. Certo, in tutte le stazioni del metrò c'è una scala mobile, ma questa è speciale. Si vede che il meccanismo che comanda gli scalini è un pò usurato, perché suona. Suona per modo di dire, in realtà emette un ticchettio ritmato che puoi sentire perfettamente già mentre scendi dal vagone.

Quel ticchettio non è un ticchettio qualunque, è nientemeno che il giro di basso di Riders on the storm dei Doors. Niente scherzi, è inconfondibile: ogni tic e ogni tac sono al posto giusto, è proprio lui. Lo è così tanto che ti viene in mente un pensiero assurdo, che forse Jim Morrison si è reincarnato in una scala mobile della metropolitana milanese come punizione per i suoi molti peccati.

Assurdo, ma forse poi mica tanto. In fondo come punizione ha il suo bel perché e poi dio a volte è un gran giocherellone. Senti il ticchettio, e non puoi fare a meno di iniziare a canticchiare, e riesci addirittura ad immaginare - sentire - il rumore dei tuoni e della pioggia dell'attacco della canzone, e ti sembra che fuori stia piovendo davvero anche se invece c'è il sole. E vai avanti a canticchiare per un bel pezzo, te la porti ben oltre i giardini di piazza Napoli, quasi fino in via Cola di Rienzo.

Alla base della scala mobile, ogni mattina, assieme a Jim Morrison c'è sempre lui. Bavetta. Ha un'età indefinita, probabilmente sui trenta-quaranta. Testa tonda, rapata quasi a zero, appoggiata su un corpo anch'esso del tutto rotondo. La barba è sempre di due giorni. Indossa sempre la stessa giacca a vento celeste e se ne sta lì, con la mano aperta tesa in avanti, il palmo verso l'alto a chiedere l'elemosina. Fermo e immobile come un paracarro.

Il viso è assolutamente inespressivo, gli occhi perennemente chiusi. Mai uno sguardo, un cenno, una parola, un giorno dopo l'altro. Un giorno dopo l'altro. Impossibile sapere come si chiama, io l'ho soprannominato "bavetta" perché ad un angolo della bocca ha perennemente incollato un rivolo di quella sostanza, una specie di stalattite iridescente di un colore indefinibile.

Gli passo davanti tutte le mattine, e mi chiedo se sia vivo davvero, se mai un lampo attraversi e illumini l'oscurità che gli riposa dietro agli occhi. Se anche lui riesca a sentire Riders on the storm come me, oppure no. Se riesca a immaginare il temporale anche in un giorno di sole. Ogni mattina lo saluto mentalmente, "ciao, Bavetta!"

Lui non mi risponde mai e se ne resta lì, con il suo secreto.

(Syuzee, 1996)

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