venerdì 10 luglio 2015

Erbaccia



Tutte le mattine, quando apro la finestra, una piccola macchia di margherite mi saluta dal giardino. E questo nonostante i miei (quasi) regolari passaggi del tosaerba.
Intendiamoci: non è che a me piaccia tosare le margherite (anzi, mi dispiace proprio) ma è che sono cresciute in un punto inaspettato, dove proprio non posso fare a meno di passare, e quindi le devo tagliare.
Tanto quelle ricrescono, più forti e ostinate di prima. Come le erbacce. Ne ho un vasto assortimento (soffioni, pabio, foglia larga, e molto altro ancora) e quelle sì che mi piace tagliarle.
Mi danno fastidio quando cammino a piedi nudi sul prato e poi, diciamocelo, a differenza delle margherite le erbacce sono antiestetiche. Ma tanto ricrescono inesorabilmente, e anzi si moltiplicano, nonostante gli sforzi del tosaerba. Più forti e ostinate delle margherite.
Ieri mattina, gettando il mio solito sguardo sul pratino, mi è venuto da pensare che anche nella vita ci sono persone come tosaerba, a cui piace dare giudizi per tagliarti le gambe, e che sono contente solo quando hanno la perfetta sensazione di esserci riuscite, di averti fatto del male.
E ho pensato anche: se la vita diventa un tosaerba, tu fatti erbaccia.

(7 maggio 2010)

domenica 22 marzo 2015

La donna perfettamente normale



Ieri sera, sul Frecciarossa di ritorno a Milano: alla stazione di Firenze salgono quattro donne, più o meno della mia età (sulla quarantina), orientali, molto probabilmente thailandesi. Camminano lungo il corridoio, verso lo scompartimento che hanno prenotato, che per combinazione è proprio dietro al mio. Non sono particolarmente alte o basse, mal vestite o appariscenti, carine o brutte; sono solo quattro donne, quattro amiche in viaggio, di aspetto del tutto normale, eccetto che sono thailandesi, ovvio, ma è un dato puramente etnico, un puro e semplice dato di fatto senza importanza.

Mentre mi passano accanto non posso fare a meno di notare che una di queste quattro donne assolutamente normali qualcosa di speciale effettivamente ce l'ha; ma è qualcosa di impercettibile, indefinito, in parte mistificato dai lineamenti orientali, e ci vuole un occhio allenato come il mio per riconoscerlo. E' una kathoey, un'appartenente al "terzo sesso"; un uomo vestito da donna, non per forza "toccato" da impianti, interventi chirurgici o terapia ormonale. Al suo paese è considerata una "cosa" abbastanza comune, certo qualche discriminazione ancora c'è, ma non è niente in confronto a quel che passano gli "equivalenti" italiani, qui da noi, dove a parole ci diciamo tolleranti ma poi dobbiamo fare i conti con la morale perbenista e il senso del pudore occidentali.

Lei invece è lì, in mezzo alle sue amiche, e chiacchiera tranquillamente nella sua lingua a me incomprensibile, (e colgo nella sua voce quella nota falsa che purtroppo la tradisce) senza fare particolarmente baccano, o essere troppo sommessa. La osservo per qualche istante (qualcuno in più sarebbe maleducazione, ha lo stesso mio diritto di essere lasciata in pace) e colgo: una lunga coda di capelli neri, giusto un filo di eye liner su un viso senza altro make up, ciglia straordinariamente lunghe - mi chiedo se siano finte, ma mi sa che non lo sono - e un accenno di pomo d'adamo, altro dettaglio traditore. Le altre tre amiche invece sono palesemente "donne bio."

Proprio in quel momento la tizia seduta al suo fianco dice qualcosa, le mostra un mezzo sorriso e passa velocemente la mano sopra il dorso della sua, un gesto tipicamente "da amica ad amica." Un gesto del tutto normale, come tutta la situazione del resto. Perfettamente normale, di una normalità disarmante, e per un breve istante mi sento profondamente felice per tutte loro.

lunedì 11 agosto 2014

OK computer


Una quindicina di anni fa circa (facciamo quasi venti) mi capitò di leggere in una rivista di psicologia (a mia giustificazione posso solo dire che sono sempre stata una lettrice vorace, e in quel momento non avevo altro sottomano) un articolo che trovai interessante, e che riguardava uno dei tanti tentativi di insegnare ad un computer a pensare come se fosse un essere umano.

Come quasi tutti gli scienziati informatici ci hanno spiegato (ferocemente quanto onanisticamente smentiti in questo dagli scrittori di fantascienza) si tratta di un'impresa praticamente impossibile, eppure di tanto in tanto qualcuno ci prova, forse per rassicurarci del fatto che siamo ancora noi l'unica e sola meraviglia del creato.

Il tentativo in questione era quello di fornire ad un cervello elettronico gli elementi principali di una favola, e poi vedere se riusciva a ricrearla, ripensarla come l'originale. La favola era quella del corvo e della volpe, un classico di Esopo che credo tutti conosciamo; la riporto qui di seguito, a memoria.

"C'era una volta un corvo, appollaiato su un albero, che aveva rubato un pezzo di formaggio. Il corvo aveva molta fame; stava per mangiarsi il pezzo di formaggio quando una volpe passò sotto l'albero.

La volpe diede un'occhiata al corvo, vide il formaggio e pensò subito ad un modo per ottenerlo. Iniziò dunque a blandire il corvo:
«Caro corvo, come sono stata fortunata ad incontrare un uccello stupendo come te!»

Il corvo, sorpreso, si arrestò e si sporse per ascoltare meglio.
«Guarda che piumaggio meraviglioso che hai, non ha uguali per eleganza in tutto il regno animale!»
Il corvo iniziò a gongolare.
«E la tua voce? Melodiosa e soave, più di un fringuello, meglio di un usignolo!»
Il corvo era in sollucchero.

«Ti prego, magnifico corvo, allieta le mie stanche orecchie con il tuo canto celestiale!»

Come il corvo aprì il becco per cantare il pezzo di formaggio cadde a terra, dove la volpe con un balzo lo lo mangiò e poi se ne andò."

Questa grossomodo è la storia ufficiale. Ecco come la interpretò il computer:

"C'era una volta un corvo, appollaiato su un albero, che aveva rubato un pezzo di formaggio.

Il corvo aveva molta fame; si mangiò il pezzo di formaggio.


Una volpe passò sotto l'albero, diede un'occhiata al corvo, non vide niente di interessante e se ne andò."

Una reinterpretazione rapida e sintetica, logica come un vulcaniano. Non so se da quindici o venti anni in qua l'intelligenza artificiale è cambiata, si è evoluta, ma credo che possiamo stare tranquilli, non sentiremo parlare di Skynet e Terminator ancora per un bel po'.

venerdì 8 agosto 2014

Il mio tessssoro!!!



(Syuzee A versus Syuzee B, al banchetto dei libri del centro commerciale.)

Syuzee A: “Oh! Cosa sono questi, libri scontati?”
Syuzee B: “Siiiì! Guardare guardare guardare!”
A: “Uhm… cos’è questo? Il libro segreto di Superman…”
B: “Ma che diavolo è?? Roba da boy-scout??”
A: “Mi sa proprio di sì… spiega come steccare gli arti rotti, e altre cosette del genere…”
B: “Bleah!”
A: “Vediamo… L’isola dei morti di Valerio Massimo Manfredi…
B: “Ma lascialo perdere… e poi non vedi che caratteri grandi? Tempo due giorni e l’hai già finito…”
A: “Aspetta: Dominique Lapierre, C’era una volta l’URSS.”
B: “Lapierre mi piace, Parigi brucia, La città della gioia, Il quinto cavaliere
A: “Mezzanotte e cinque a Bhopal.”
B: “Quello è meglio lasciarlo stare.”
A. “E perché? Non ti è piaciuto? Ricordi l’episodio delle due donne, l'indù e la musulmana, che si contendevano il cadavere dello stesso uomo per avere il risarcimento come vedove?”
B: “Si, e poi un tale gli dice di controllare se il cadavere è circonciso oppure no… e tu ricordi invece a chi l’hai regalato quel libro?”
A: “Ehm… si, lo ricordo. Hai ragione, lasciamo stare.”
B: “Dice se l'ha scritto insieme a Larry Collins per caso?”
A: “Uhm… no. L’ha scritto insieme ad una giornalista nel 1956, girando la Russia su una Simca…”
B: “Sarà mica una roba alla Terzani? No, perché se è così dillo, che lo lasciamo giù.”
A: “No, non sembra… lo sai che mi potrebbe servire per il libro che voglio scrivere. E poi sfogliando le pagine sono sicura di aver visto la parola amore libero.”
B: “OK OK. Quanto costa?”
A: “Scontato, meno di cinque euri.”
B: “Va bene allora. Lo sai che non compriamo (quasi) mai libri più cari di così, sennò col poco tempo che ci durano sai che spesa…”
A: “Lo so, lo so… (taccagna).”
B: “Oh, guarda là! Libri a due euro e novanta!”
A: “Uhm… Il segno dei quattro di Conan Doyle… Sherlock Holmes, straletto…”
B: “E quell’altro?”
A: “Soluzione sette per cento di Nicholas Meyer.”
B: “Cosa dice la quarta di copertina?”
A: “Sono i diari segreti del dottor Watson. Qui dice che per guarire Holmes dalla sua dipendenza dalla droga lo porta da Sigmund Freud.”
B: “Aspetta, aspetta… ma non ci hanno mica fatto un film?”
A: “Si, mi sembra proprio di si… ricordo la scena di quando vengono quasi schiacciati dai cavalli…”
B: “Bah! E poi non è nemmeno di Conan Doyle…”
A: “Già. E questo? Antiche sere di Norman Mailer, volume primo.”
B: “Guarda se c’è anche il secondo, lo sai che sono anale e odio le cose fatte a metà.”
A: “Hmm… si, c’è anche il secondo.”
B: “Humm… Ma ti prego! Guarda la copertina! C’è una tipa su un baldacchino, piena di piume!”
A: “Lo sai che non giudichiamo i libri dalla copertina…”
B: “Ma guarda com’è scritto in piccolo! E tu, bella mia, stai invecchiando e la tua vista non è più quella di prima!”
A: “(Fanculo, stronza) ehi! La traduzione è di Pier Paolo Pasolini!”
B: “Ma cosa cazzo dici, è di Pier Francesco Paolini!!! Lo dicevo io che non vedi un cazzo… vabbè, leggimi la quarta.”
A: “Nella piramide di Khufu, in Egitto, più di trentatré secoli fa un uomo, forse uno spettro, si aggira smarrito tra il mondo dei vivi e la terra dei morti…
B: “Uhm… non sembra un granché.”
A: “Eddai…”
B: “Vabbé, ultima possibilità… pagina a caso, frase a caso.”
A: “Occhei. «Voglio l’altra,» Le dissi. E Essa rispose: «Non entrerai per là, finché la birra non schiumerà nel tuo boccale». Quindi seguitai a fotterla in culo…
B: “PREGO??!?”
A: “Sisì, dice proprio così.”
B: “LEGGERE, LEGGERE!”
A: “Dall’inizio del paragrafo. Potei alfine penetrare in Lei. Certo, l’espugnazione del Suo regal culo fu impresa degna di Amen-khep-shu-ef. Dopo la prima porta, ce n’era un’altra, ed Essa era come una fortezza con molte cerchia di mura, e l’assedio fu lungo. Tuttavia, La sfondai, e viaggiai dentro la Sua terza bocca, su, su, a spinta a spinta, da pari a pari, ma, siccome era la Sua vagina che volevo, il mio desiderio non poteva ancora estinguersi. Palla-di-Miele mi aveva detto, una volta, che le donne penetrate dalla terza bocca sentono l’ira di Set fremere in loro, e non possono rispettare l’uomo che le incula. S’intende, noi dobbiamo rispettare soprattutto chi è capace di ucciderci, e nessuna donna morrà mai di parto, allorché la crema dell’uomo le viene iniettata nel retto.
«Voglio l’altra,» Le dissi. E Essa rispose: «Non entrerai per là, finché la birra non schiumerà nel tuo boccale».
Quindi seguitai a fotterla in culo, e vidi tutte le facce di Heqat e Palla-di-Miele. Le Sue narici erano assai contorte e Essa grugniva come una troia; forse quello, dei Quattordici Suoi Ka, non aveva mai, finora, conosciuto un tal piacere!
B: “Questo libro VA comprato!”

(28 luglio 2010)

Dal maledetto dentista


E' un fatto che dal dentista non ci vai mai per una visita di cortesia, del tipo "passavo di qua e sono entrata a salutare", ci vai perché ti fa male qualcosa il che implica due fatti: a) ti metterà le mani in bocca e a te non piace e b) ti costerà un sacco di soldi.

Il mio dentista poi è un tipo scontroso ai limiti della maleducazione, burbero e misògino, ma siccome è anche schiantagnocche (e fedifrago, un bastardo insomma) si circonda di assistenti giovani e carine, che però (appunto) tratta malissimo, ai limiti del mobbing. Ma come dentista è bravo, per questo lo tengo, e mi conosce da quando avevo ancora i denti da latte.

Tempo fa avevo bisogno di una sistematina, per cui ero stesa sulla poltrona con la luce in faccia e la bocca spalancata, tesa - come al solito - tipo asse di legno. Ad un certo punto, verso la fine dell'opera dentistica, alla radio che sta di sottofondo iniziano a trasmettere Running in the family dei Level 42.

E' una canzone alla quale sono particolarmente legata, mi ricorda l'estate del 1989 (era appena uscito Level Best, la raccolta dei grandi successi), la prima vacanza con la macchina "mia", il campeggio con gli amici a pizza e Gatorade, i miei (quasi) vent'anni. Fu l'ultima delle mie vacanze veramente spensierate: avevo appena finito il liceo, a settembre sarei entrata nel "giro grande", avrei iniziato a farmi largo nella vita, e ancora non sapevo come sarebbe stata, cosa sarei diventata. Tutto era ancora possibile...

Mi sveglio da questo tuffo nei ricordi rendendomi conto che l'assistente del dentista, una giovane apprendista sulla ventina (come me a quei tempi) sta canticchiando la canzone. In un momento di pausa le faccio: "ma conosci anche tu i Level?"

Lei mi risponde, innocente: "sì, li ascolto da quando ero bambina. Mio papà me li faceva sentire che ancora andavo all'asilo..." Faccio due conti a mente: quando io la ascoltavo - e stavo facendo la patente - tu andavi ancora all'asilo... e di colpo mi fai piombare addosso il peso di tutti gli anni che sono trascorsi da allora ad oggi, stronzetta di assistente odontotecnica...

Quasi quasi sono felice che lavori per quel bastardo del mio dentista.

mercoledì 30 luglio 2014

Morelle DeKeigh


Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, esisteva un'edicola dei giornali dalle parti del centro città, davanti alla quale passava molta gente. Eravamo sul finire degli anni ottanta, e nelle edicole esistevano cose come giornali e videocassette pornografiche, manufatti oggi pressochè estinti e soppiantati da freddi equivalenti elettronici. Un giorno per puro caso ci passai davanti.

Allo scopo di attrarre gli ignari passanti (vabbè, alla fin fine poi mica tanto ignari), gli astuti edicolanti esponevano questi articoli in punti prestabiliti e in determinate ore del giorno e della notte, in modo da non scioccare i benpensanti;  i frontespizi di queste riviste erano infatti rutilanti promesse di piaceri sessuali inarrivabili, di inavvicinabili, peccaminosi paradisi esotici. Toccava accontentarsi di un surrogato in carta patinata.

Quel pomeriggio di fine anni '80 il mio sguardo di ignara passante venne catturato da una rivista di cui non ricordo il titolo, ma che sviscerava senza ombra di dubbio tutte le geometrie possibili dell'amore transessuale. A riprova, un volto sorridente occhieggiava dalla copertina, un viso palesemente ambiguo eppure raggiante e felice, di una gioia così vera e sincera da essere quasi commovente.

Forse proprio per via di quella sincerità quel viso mi rimase impresso, indelebile negli anni a seguire: una chiostra di denti bianchissimi e abbaglianti, delimitata da labbra rosso fuoco; un velo di ombretto lilla sulle palpebre, e la floridezza della salute e della gioventù sulle guance. L'avete vista nella foto qui sopra, trovata su internet dopo alcune ricerche.

All'epoca poco si conosceva della reale identità di queste creature che sembravano vivere solo nelle fotografie di quelle pagine; le storie che accompagnavano quei servizi fotografici camuffavano nomi, luoghi, epoche in maniera grossolana e porcelleccia, e così l'ambigua creatura di Ipanema poteva diventare, nella successiva edizione, una improbabile girl next door (non del tutto girl a dire il vero) dell'hinterland de noantri oppure una casalinga "con sorpresa" per l'idraulico di turno. Poteva chiamarsi di volta in volta Susanna, Carolina o magari Chantal, non era importante; quello che contava veramente era far sognare i lettori (OK forse il verbo "sognare" non è quello giusto, ma suvvia non siate volgari).

Oggi, grazie a internet, non è più così. Di certe celebrità si conosce vita, morte e miracoli. E così ho scoperto in un sito di old glories trans che quella creatura così - apparentemente - piena di vita e di gioia si chiamava Morelle DeKeigh (certamente un nome d'arte, però stavolta un vero nome d'arte), che oltre a lavorare per l'industria del porno si prostituiva, come accadeva e continua ad accadere anche oggi a tante trans. Morelle è nata in Colombia nel 1969, ha vissuto a New York, ed morta di AIDS nel 1994. Una biografia abbastanza scarna; nemmeno due righe per contenere una intera vita, buttata via.

Ma quella era la preistoria del porno, effimera e poco documentata. Oggi si può trovare molto di più, ad esempio su Camilla De Castro, morta suicida nel 2005 (c'è chi dice per depressione, chi perché aveva scoperto di essere sieropositiva). O su Satiny Miranda, morta di meningite (causata indovinate un po' da cosa? Certo, dall'HIV). O su tante altre, finite ugualmente male per mano propria o altrui.

Ad ogni modo, si potrebbe dire che niente sfugge oggi all'immenso potere della memoria di internet. Ma per fortuna ci sono delle persone che sfidano questo (stra)potere, con la forza della loro ignoranza. Gente che si limita a guardare solo le figure, e piuttosto di leggere anche due righe si farebbe ammazzare, con questo vanificando ogni tentativo si dossieraggio in stile Stasi di internet.

Ed ecco che alcuni di questi eroi, in una pagina di commemorazione di Camilla, commentano così: "hmm, come ti scoperei!" Già. Vorrei proprio vedere.

martedì 18 marzo 2014

E' un anno oggi. Ho dovuto rivedere il post che avevo scritto allora per rendermene conto, perché sono una frana con le date ma, soprattutto, in realtà non me ne sono mai resa conto del tutto. Da quando non ci sei più mi manchi tantissimo. W mi ha spiegato che quando scrivi rivolgendoti ad una persona che non c'è più in realtà stai scrivendo a te stesso. Mi sa che W ha ragione. Non mi illudo che dove sia tu adesso, se poi sei davvero da qualche parte, riesca a leggere il mio blog; e allora mi sa che questo è lo sfogo di una persona che ti ha voluto bene e non ha potuto nemmeno piangerti come si deve. Tante volte ti ho pensata, in questo anno, quasi ogni giorno. Mi sembrava di poter fare il tuo numero di telefono, scriverti due righe su messenger, e saresti stata lì. E' passato un anno ma non mi sembra ancora vero, amica mia.