giovedì 5 maggio 2011

Il brivido sottile della rivelazione, parte II


Serata fiacca quella di ieri. Sto per chiudere il PC quando decido di fare il "giro della staffa" su uno dei siti CD che frequento, X Dress. E lì, quasi per caso, mi imbatto per prima negli ultimi sviluppi di una storia tremenda, quella di una sorellina che ha deciso di confessare la sua "doppia vita" alla propria moglie, con la quale ha avuto anche delle figlie. Una confessione finita malissimo. Bang!

Subito mi è venuto in mente un aforisma di Charles Pierce, famosa drag queen americana (anche se preferiva definirsi "attrice maschio"): "Preferirei essere negro piuttosto che gay, perché se sei negro non lo devi dire a tua madre!" Una battuta che non è propriamente politically correct, ma che contiene una grande verità.

Facciamo un passo indietro. Una cross-dresser è una persona che, si potrebbe dire da sempre, deve convivere con sotterfugi e bugie. Generalmente ha (o ha avuto) un nascondiglio dove riporre la sua "seconda personalità". E parlo sia di un nascondiglio "fisico", per oggetti e vestiti, sia di uno "incorporeo" (ma non meno reale) dove nascondere il suo lato femminile, il suo essere mentalmente donna.

E' inutile che spieghi il perché di queste necessità, credo sia abbastanza chiaro. Non ho la pretesa di pensare che sia esattamente così per tutte, ma il mio bazzicare in questo "mondo" da diversi decenni mi porta a credere che quello dell'espediente sia un fenomeno abbastanza diffuso.

Poi, esistono alcune, rarissime oasi felici. Di crossdresser che riescono infine a dichiararsi e a farsi accettare dalla propria compagna, o dalla propria famiglia, e possono vivere questo "desiderio" apertamente, senza bipolarismi. Ma sono poche queste oasi, molto poche. Ma anche molto felici: basta coi nascondigli, con le doppie verità; libertà finalmente, e a volte addirittura una nuova intesa e complicità con il partner.

La CD che vive la condizione A - quella "sotto copertura" - può essere invece portata ad avere una bassa stima di se, può finire in depressione o peggio, può insomma vivere malissimo questa condizione ai limiti della schizofrenia. Talmente male da vedere nella "confessione" un atto liberatorio.

A volte la sete di libertà ti porta a vedere le storie delle sorelline "che ce l'hanno fatta" come dei chiari segni premonitori, positivi, del fatto che anche a te andrà così. Ti convinci che devi assolutamente compiere il passo fatidico anche perché sei persuasa che "se ti tieni tutto dentro è automatico che prima o poi esplodi." Come ho letto in vari post di forum che frequento.

Ma siamo sicure che sia proprio così? Io porto, molto modestamente, il mio (pessimo) esempio: come credo di aver scritto da qualche parte, vivo felicemente (più o meno) il mio essere in mezzo al guado, un piede asciutto e uno bagnato.

Certo, non lo so fino a quando durerà. Ma non avverto la necessità di fare outing, non sento i morsi della depressione e ho imparato ad accettarmi come sono, fortunatamente senza aiuti esterni (OK, non proprio "senza senza", ma ad ogni modo facendo a meno di psicologi o simili).

Il gioco - la confessione - vale la candela se nelle persone che abbiamo davanti troviamo amore e comprensione. Magari non immediatamente, lo shock di una notizia come questa può essere molto forte anche per chi pensa di essere di "ampie vedute", ma se questi sentimenti sono presenti, prima o poi riaffiorano.

Cosa succede se invece l'ostacolo da superare è troppo alto? Si parla di divorzio, allontanamento dai figli, messa al bando dalla propria casa, perdita di amici e lavoro. Miseria vera, economica e affettiva, mica noccioline.

Ricordo, molti anni fa, di aver incrociato in Stazione Centrale una... "CD" che faceva accattonaggio. Ho messo volutamente il termine crossdresser tra virgolette perché, esteriormente, era tutto tranne che femminile: un mix di abiti da uomo e da donna (sporchi), barba lunga, rossetto.

Ho ancora nelle orecchie, nonostante siano passati quasi due decenni, la sua voce sottile (che voleva disperatamente essere di donna) chiedere qualche spicciolo ad un passante in impermeabile chiaro, e l'espressione di profondo disgusto di quest'ultimo - che però mise comunque una mano in tasca alla ricerca di una monetina.

Chi era quell'essere infelice? Una persona probabilmente ripudiata dalla famiglia per via della sua diversità. Che fine avrà fatto? Non lo so, ma non posso immaginare niente di buono per chi vive ai cosiddetti "margini della società" oltretutto con questo tipo di orientamento sessuale o di genere.

L'affermazione della nostra diversità può valere quella che, in definitiva, potrebbe anche rivelarsi come la distruzione della nostra vita (nel senso più ampio del termine) così come la conosciamo? Ognuna di voi, se vuole, dia la propria risposta; io ho la mia e me la tengo stretta.

E ad ogni modo, non fidatevi delle cross dresser: sono persone che dicono bugie, le più grandi a se stesse.

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