domenica 29 gennaio 2017

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La nostra cultura e la nostra società sono permeate, ossessionate da dualismi e dicotomie. Luce/ombra, buono/cattivo, bello/brutto, nero/bianco, noi/loro, maschio/femmina; due occhi, due mani, due gambe, due tette. Due è bello, due è rassicurante perché semplifica al massimo pur garantendo un’illusione di libertà. Due permette di vendere, di indottrinare, di plasmare secondo volontà, perché costringe ad una scelta netta, chiara, inequivocabile e assolutamente vincolante. E sicuramente errata perché taglia fuori tutte le differenze, la ricchezza delle gradazioni.


Mi troverai nelle sfumature, nei semitoni,
Nella coda dell’occhio, sulla punta del naso,
Proprio in mezzo tra una casella e l’altra,
Tra due petali di margherita,
Dove c’è un dubbio, nei “forse”, nei “non lo so”,
Nel luogo dove vanno a finire tutte le questioni irrisolte.
Cercami nelle canzoni canticchiate a bocca chiusa,
Quando è ormai sera ma c’è ancora luce,
In un posto che non è terra, mare o aria.

sabato 7 gennaio 2017

Under the pale sun



Fuori c’erano un sole tiepido e pallido, che annunciava una primavera che non sarebbe arrivata mai, e i rumori della campagna. Dentro faceva caldo ma avevo il gelo nel cuore e nelle ossa, e il silenzio era intervallato dall’ansimare angoscioso del materasso antidecubito.

Lei era distesa nel letto, pesava una frazione di quello che era stato il suo peso normale, in compenso dimostrava vent’anni in più di quelli che effettivamente aveva. Si addormentava di frequente, stordita dagli oppiacei e dalla malattia; ed io ero lì accanto a lei, quel pomeriggio, cercando di ingoiare le lacrime e di comportarmi “normalmente” perché avevano deciso di non dirle niente. Una pia illusione, dato che lei aveva capito tutto e faceva la finta tonta, io credo per prenderci in giro ancora un'ultima volta.

Fino ad allora avevo sempre avuto paura di dire “ti voglio bene”. Perché nella mia famiglia mostrare un’emozione è sempre stato considerato come un segno di debolezza, e ogni sentimento che scappava fuori era come un topolino gettato in mezzo ad un branco di gatti; e proprio come quello, prima di essere finalmente ucciso e sbranato doveva essere sottoposto a giochi e tormenti crudeli. Ancora oggi, in occasioni e feste comandate, non riesco a baciare o abbracciare mio padre, a malapena ce la faccio con mia madre e i miei fratelli, e sempre sentendomi un po’ goffa e maldestra.

Anche quel pomeriggio il maledetto blocco mi prese; sapevo che sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto viva la mia amica più cara, eppure quelle parole - che pure sentivo mordermi a sangue la lingua - non riuscivano ad uscire. Ad un tratto lei si svegliò, sentendo la mia mano sopra la sua, ossuta, che stava sotto al lenzuolo. Mi guardò e mi disse: “guarda che lo so che mi vuoi bene.”

Da quel giorno non ho più avuto paura di dirlo, anche se un piccolo timore, un leggero frisson, ogni volta mi rimane. Mi si strozza la voce, ma il più delle volte ci riesco lo stesso. Dire “ti voglio bene” non significa necessariamente “vorrei portarti a letto”, “vorrei che fossi mia moglie”, vorrei passare ogni minuto della mia vita con te”, o desiderare che tu mi prenda come amica per la pelle.

Non vuoi bene ad una persona perché è stata male o ha visto l’inferno in terra (e magari nell’inferno ci abita ancora); non è un premio di consolazione o un cerotto, anche se molto spesso ne ha l’effetto (e per fortuna). So cosa non è, ma non chiedetemi di dirvi cosa è. Viene da dentro, lo senti e sai di avercelo; può accadere immediatamente, oppure costruirsi un giorno alla volta, pezzettino dopo pezzettino.

Spesso, troppo spesso lo tieni dentro, imprigionato, per paura di cosa potrebbe pensare chi sta dall’altra parte. E non dovrebbe essere così. Io non ho più questo timore, stavo per scrivere "per fortuna" ma la realtà è che sono stata vaccinata, e nella maniera peggiore.

Francamente, non mi importa se non siete d’accordo, se credete che io sia strana, o naif, o incauta in questo mio modo d’essere; se pensate o peggio, mi dite o mi fate capire, che dovrei evitare, smettere. Il problema l’avete voi, non io.

venerdì 6 gennaio 2017

La donna nell'armadio (Dani, rimembri ancora quel tempo della tua vita?)


C'è una particolare specie di crossdresser che si chiama, utilizzando un termine inglese, closet transvestite, ossia "travestito da armadio" o "nell'armadio".

Si riferisce a quelle persone che, per motivi diversi, non se la sentono di uscire all'aperto quando sono en femme e restano chiuse tra le quattro mura di un appartamento. Esseri la cui personalità femminile (che a volte è persino più vera di quella maschile) rimane purtroppo confinata in un guardaroba.

Capiamoci, ci siamo passate tutte - chi più chi meno - attraverso questa fase: finché non si trova abbastanza coraggio e fiducia in sé stesse è praticamente una scelta obbligata. Perché in tutte noi prima o poi nasce il desiderio forte di uscire all'aperto, nel mondo reale, anche solo per un istante. Ma non riusciamo a farlo.

Il fatto è che possiamo raccontarcela come vogliamo, alla fine siamo semplicemente prigioniere delle nostre paure. Pensiamo solo al peggio di quello che potrebbe succedere, mai al meglio, e restiamo eternamente paralizzate all'interno di quelle solite, maledette quattro pareti. Un vicino di casa potrebbe vederci; potremmo incrociare un collega o un parente; qualcuno potrebbe insultarci per quella certa aria mascolina che purtroppo ci è impossibile nascondere.

C'è chi si traveste in una camera d'albergo, perché magari a casa non può, ma poi da quella camera non esce mai, ed è come scambiare una prigione come un'altra.

Ragazze mie, se ve ne parlo è perché ci sono passata. Quando c'ero dentro e mi capitava di leggere il racconto di una sorellina che invece ce l'aveva fatta, reagivo proprio come probabilmente state facendo voi adesso, e cioè provavo un pizzico di invidia, un brivido di eccitazione, una punta di voglia di mettermi in gioco...

Ma poi le paure e le insicurezze, quelle amiche false e traditrici, accorrevano subito per calmarmi, spegnermi, assopirmi, rimettermi nel posto che pensavo fosse quello più giusto per me. "Tu non sei come lei, non ce la puoi fare... lei è più bella e femminile, tu sembri un rospo... ma dove vuoi andare?" E di nuovo le quattro pareti, e buchi per nascondersi.

Lo so io e lo sapete anche voi, è dura uscire all'aperto, e chi non è trav/CD può solo immaginare. Non è facile trovare il coraggio. Occorre qualcosa di "forte", qualcosa che vi dia una spinta più potente di tutte le paure che avete. E, ve lo dico, potrebbe non bastare, perché il cuore di coniglio è sempre in agguato, anche all'ultimo momento.

Sapete cosa serve? Una grande amica. O, meglio ancora, due grandi amiche; più sono e meglio è. Che vi sostengano anche solo con la loro presenza, con il loro entusiasmo, che vi facciano sentire perfettamente normali. Lo so, voi pensate che già trovare una persona così sia impossibile, figuriamoci due. Io vi dico che invece è possibile, basta iniziare a mettere la testa fuori dal guscio. Basta cominciare a smettere di avere paura del mondo, a smettere di avere paura degli altri: in realtà abbiamo paura di noi stesse.

"Se riteniamo che non sia mai il tempo giusto, maturo, non è sempre per come vediamo gli altri... a volte è perché non lo siamo noi stessi, dentro, e ci rifugiamo dietro alle parole. Gli occhi e le emozioni sono le uniche certezze."

Queste parole le ha scritte una mia amica (donna bio), ed esprimono perfettamente quello che voglio dirvi. Dimenticatevi per una volta di voi stesse, e osate. Chi era con voi, dopo qualche anno, vi racconterà dello sguardo sorpreso, emozionato e colmo di meraviglia che avevate quel giorno. E voi che pensavate che non si notasse...


P.S.
Qui inizia un messaggio ad personam. Dani, è anche a te che sto scrivendo queste righe. Eri "sparita", così come avevo fatto anch'io, ma ti ho "ritrovata". Adesso sei sparita un'altra volta, ma quello che non sai è che nel frattempo io sono "rinata". Sembra una cosa difficile, ma non lo è, davvero. Mi hai raccontato delle tue paure, che erano e sono anche le mie; tanto altro l'ho capito da quello che non mi hai detto. Però rispetto la tua decisione e non ti verrò a cercare finché non sentirai che il tempo è quello giusto.

Ti abbraccio

Sy

martedì 3 gennaio 2017

A.C.A.B.


Da qualche altra parte in questo blog devo aver accennato al poliziotto che ognuno di noi "si porta" dentro, ma oggi sono pigra e non ho voglia di andare a cercare.

Comunque, è quella vocina fastidiosa e insistente che, ogni volta che stiamo per fare o per dire qualcosa di sostanziale, inizia a cicalare: "Ma è il caso? Ma non ti starai rendendo ridicola? Cosa penserà la gente di te? Ma soprattutto cosa penserà lei? E se poi lei ti trova stupida/naif/ingenua/stupida un'altra volta? E se poi sparisce e non si fa più vedere? Non è meglio se stai zitta/ferma/buona? Non è meglio se conservi un po' d'amor proprio?"

Ecco, so che succede a tanti, e che tanti ubbidiscono al poliziotto inside. Per mia parte, sto cercando di prenderlo a calci in culo.

domenica 1 gennaio 2017

(senza titolo)

Mi rendo conto di non aver mai smesso di cercarti, anche se so che è impossibile ritrovarti.

Rivedo in altre persone gli stessi tuoi gesti, i tuoi modi di essere che adoravo e che mi rendevano orgogliosa di essere tua amica. So bene che loro non sono te, e non sarebbe giusto nei tuoi confronti, e nei loro, pensare diversamente. C'è tanta sofferenza nel mondo, tu lo sapevi bene. Ma c'è anche tanto amore, e sono sicura che hai saputo anche questo. Non ripaga, ma addolcisce un po' l'amaro.

Se tu mi potessi vedere, credo (spero) saresti orgogliosa di come sono ora; c'è tanto di te in questo. E forse saresti anche un po' gelosa, anche se senza motivo; ma chi vuol bene lo è sempre. Però ho ancora gli occhi bagnati.