martedì 12 luglio 2011

Dulce et decorum est pro patria mori



L'onore non si mangia. L'onore non ridà un marito ad una vedova, un padre a degli orfani. Non ti porta regali a natale, non ti tiene sulle ginocchia, non ti porta a scuola la mattina, non ti mette un cerotto quando ti sei sbucciato un ginocchio. Non ti da una carezza sulla testa.

Non ti aiuta a pagare il mutuo a fine mese, o a fare la spesa. La sera, d'inverno, non si siede di fianco a te sul divano, sotto la coperta, a guardare un vecchio film. Negli afosi pomeriggi d'estate non ti porta in piscina, o al mare. O anche solo a prendere un gelato.

Non può sorriderti, abbracciarti, baciarti. Non può fare l'amore con te.

Non esistono guerre giuste, nemmeno quelle che per un cavillo (ma in realtà per un nascosto senso di vergogna che a volte assale anche i potenti) non vengono nemmeno chiamate guerre, ma di fatto lo sono. I motivi ufficiali che vengono sbandierati non sono mai quelli veri, da che mondo è mondo.

Friedrich Durrematt diceva: "Patria, si fa chiamare lo Stato ogniqualvolta si accinge a uccidere." E quando leggo, su certi ridicoli siti che si definiscono apolitici e contrari a qualsiasi ideologia frasi come "onore ai caduti", quando sento in televisione "l'ultimo saluto all'eroe caduto", il mio livello del senso di schifo si alza di una tacca.


Era partito
per fare la guerra
per dare il suo aiuto

alla sua terra
gli avevano dato

le mostrine e le stelle
e il consiglio di vender

cara la pelle
e quando gli dissero

di andare avanti
troppo lontano

si spinse a cercare
la verità.

Ora che è morto
la patria si gloria
d'un altro eroe

alla memoria.

Ma lei che lo amava
aspettava il ritorno
d'un soldato vivo,

d'un eroe morto
che ne farà
se accanto nel letto

le è rimasta la gloria
d'una medaglia

alla memoria.

Fabrizio de André, La ballata dell'eroe (1961)

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